numero 14
26 luglio 2010
chi siamo usa il sito texné curatori archivio pagina iniziale
 
 
 
|Newsletter
Nome:
e-mail:
 
 
|Dite la vostra su...
 
 
 
 
 
 
 
Noi aderiamo ai principi HONcode.
verify here.
 
 
L'ipnotista
Lars Kepler

2009 Longanesi
594 p.
 
Il seme della colpa
Christian Lehman

2009 Meridiano Zero
158 p.
 
 
 
 
“There is an ocean that divides …” (CD)
Scott Matthew
- 2009 Glitterhouse Records -
 
DUE CD E... UN LIBRO

“Hidden”
These New Puritans
- 2010 Hologram -
 
Il manuale del contorsionista (CD)
Craig Clevenger
 
“Espers III” (CD)
Espers
 
 
manda una cartolina a un amico con i quadri di "Daro" Diana.

 
 
 
 



scarica la brochure
e la scheda d'iscrizione




vai al sito ESICM

 

 

 

 

Web Design & Engineering

 

26 luglio 2010
Psicologia dei Gruppi SanitariRiflessioni sul gruppo-paziente in oncologia. La Comunicazione.
Cecilia Dolcemascolo, Psicoterapeuta.
Timeoutintensiva Network


26 luglio 2010
 



Download dell\'articolo in PDF



La comunicazione in oncologia, più volte dibattuta, studiata, misurata, rappresenta un aspetto lacunoso del processo terapeutico; default rischioso e ricettacolo, a volte, di varie improvvisazioni. 

In questa breve relazione, alla luce di alcune esperienze cliniche che di seguito riporterò, traccerò un percorso che ne identifichi, per certi versi, spazio e profondità.

Comunicare significa soprattutto rendere noto, mettere in comune, in quanto processo costituito da un soggetto (o più), che ha intenzione di far sì che il ricevente (o i riceventi), pensi o faccia qualcosa. In oncologia, la comunicazione, pregna di significati di ordine logico-cognitivo e affettivo-ambivalente, veicola scelte terapeutiche ed emozioni, che contribuiranno alla costruzione di modelli di vita completamente nuovi, per la persona che li deve perseguire.  Il sanitario che dà una comunicazione, “introduce” nel pensiero del suo interlocutore o paziente dettami, incoraggiamenti, preoccupazioni ed anche disponibilità, compassione, amore, ma a volte denigrazione, odio, e nei casi migliori “il senso della cura”. In questo caso, comunicare, significa anche orientare e favorire nell’altro, ovvero nel paziente, l\'instaurarsi di cambiamenti e trasformazioni, non soltanto nello stile di vita, ma anche nell’immagine corporea e nella rappresentazione di sé che seguirà.

Quando si affrontano problematiche di tipo oncologico, l\'operatore sanitario è posto di fronte alla molteplicità dei livelli di comunicazione, che comprendono, fra i vari aspetti, secondo l’ottica processuale di cui si è fatto cenno prima, un elemento imprescindibile, che ne stabilisce il gradiente di qualità, e che consiste nella capacità di “ascolto”. Comunicare ed ascoltare secondo una modalità “relazionale” della cura, “conducono” ad un livello di consapevolezza maggiore, che attraversa una specificità dell’affettività “umana”, comunemente realizzabile solo con alcune persone care, raffigurabile in una coloritura esperienziale, che chiamiamo autenticità. Il momento della “semplice” comunicazione con i nostri pazienti, viene vissuto con la sensazione di essere immersi in un campo interattivo, che improvvisamente diventa quasi palpabile: i sentimenti, le informazioni, i vissuti, i progetti, le consegne, le domande, le associazioni di pensiero, le aggressività, le difficoltà, la corporeità, ad un tratto, fanno condensare nell’aria diversi significati; diventano essi stessi icone di un qualcosa, che può volgere a favore di una relazione di cura o meno. Ascoltare equivale a sentire, come amplificato, quello che sta accadendo ed, in questo ascolto, la parte preponderante la realizzano i propri pensieri, i pensieri dell’operatore sanitario stesso che, legati in parte ai rimandi del paziente, ed in parte ad una propria “disponibilità”, contribuiscono alla chiarificazione o confusione di quei significati di cui si parlava prima.

Cosa si comunica, nel momento in cui si informa il paziente della propria diagnosi?

Quali sono i livelli di comunicazione che si attivano, e quali modalità ci permettono di poter definire la nostra attività lavorativa \"cura\"?  

Le molteplici implicazioni affettive del nostro lavoro, ne definiscono in maniera poliedrica il “senso”.

Gli aspetti della comunicazione nella relazione terapeutica, come dicevamo, sono veicolati dalle emozioni vissute dal paziente, legate alla paura della morte, e della perdita di una parte di Sé, e dalle emozioni vissute nell\'ambito della cura dagli operatori sanitari stessi. Nelle comunicazioni v’è un continuo riferirsi a queste tematiche, a volte con lievi sfumature, piccole ombreggiature, lievi inclinazioni della voce, una particolare mimica, una postura, un singulto, una smorfia; a volte, invece, prevalgono i toni aggressivi, indagatori, paranoici e sadici.  Nei due poli della relazione, abbiamo il paziente da un lato e l\'operatore sanitario dall\'altro, legati da invisibili fili formati da sentimenti, affetti, identificazioni e paure, elicitati da sentimenti ed emozioni che gravitano attorno alla malattia chiamata cancro. Le tabelle che riportano, nei vari servizi ospedalieri, la parola “oncologia” e le divise, risuonano continuamente una eco che pare sancire, istituzionalmente, una distanza \"difensiva\", affinchè nessun \"contagio\" o contatto relazionale avvenga e, questa parte “invisibile” della comunicazione, risulti negata emotivamente.

 L\'individuo che si ammala, anche a seguito di ciò, spesso vive in solitudine l\'esperienza di malattia, sente che la patologia oncologica, è una malattia che sancirà il \"cambiamento della propria esistenza\" forse in maniera irreversibile. In primo luogo, sperimenta che vivere l\'esperienza della malattia oncologica, modifica la concezione ed il proprio rapporto sia con il mondo esterno che con quello interno: nulla sarà come prima.  Si può verificare che alcuni pazienti si “lascino vivere”, sottoponendosi alle cure con il proprio corpo, annullando la propria storia, considerandolo come un ostacolo tra \"Sè e il mondo\".  Altri ancora, riescono a viversi come “persona”, che ricerca ancora livelli di comprensione di Sè e di benessere interiore.  Nella relazione terapeutica, tutti questi modi di sentire e vivere la propria esistenza, si trasmettono all’altro, traspaiono, portano costantemente a confrontarsi, ed a identificarsi con tematiche legate al proprio ed all’altrui limite esistenziale, anche se questo, a volte, rimane \"inconsapevole\". Le terapie in ospedale, permettono di ridurre la mortalità e le mutilazioni, e di utilizzare protocolli terapeutici mirati a ciascun paziente, ma l’esperienza vissuta non attraversa il corpo senza lasciare traccia, gli intensi stati emotivi attraversano la “persona”, il suo “sentire”, ed il modo di percepire “se stessi”. La lunga traiettoria terapeutica della chemioterapia, per esempio, aggredisce sia le cellule tumorali che gli animi.

 L\'impegno e la competenza professionale nell\'ambito della cura, veicolati dalla comunicazione-ascolto, non possono considerarsi disgiunti dal vissuto emotivo che costantemente e continuamente si \"attraversa\"; i bisogni di salute in senso globale, saranno presi in carico dagli operatori sanitari, nel momento in cui i fatti psicologici saranno integrati a quelli clinici.

Risulta necessario, allora, pensare ad una condivisione e costruzione della \"cura\", fra tutti i soggetti impegnati nel \"processo terapeutico\", intendendo con ciò la cooperazione degli  operatori sanitari, dei loro pazienti e delle loro famiglie, rispetto a livelli di responsabilità e coinvolgimento differenti, che nel nostro “gruppo di lavoro” abbiamo chiamato “gruppo-paziente”.

Il lavoro d\'equipe nei reparti di oncologia, dovrà avvalersi di modalità lavorative \"integrate\", condivise, supportate da più figure professionali, poiché, da tale condivisione, si potranno attivare  \"risorse nuove”, utili a dare la giusta collocazione ad ogni evento terapeutico. Nella cooperazione si pone da un lato, il vantaggio di raggiungere il paziente nella sua \"solitudine\", e dall\'altro, di vedere la cura come un processo attivo, dove il paziente,  coinvolto nel processo terapeutico, si identifica come \"parte soggettiva\" nell\'intero iter terapeutico, inteso come quel periodo lungo di tempo, della propria storia di vita, che va dal momento della \"comunicazione della diagnosi\", a quello della \"comunicazione delle procedure terapeutiche\",  a quello della \"comunicazione delle recidive\" e, nei casi più compromessi clinicamente, a quello della fine della vita. 

Il curare allora, secondo questa visione, riporterebbe costantemente e continuamente a considerare i temi della cura centrati sul paziente, sui familiari e sullo staff, come fondanti le identificazioni e le “costruzioni” che emergono lungo tutto l’iter terapeutico della malattia, capaci di contribuire alla dimensione narrativa (elaborazione dei vissuti) di tutti gli attori compresenti. Il valore del carico psicologico e relazionale condiviso nelle varie e continue occasioni terapeutiche, saranno considerati come la materia prima su cui prenderà vita una autentica esistenza.

Sicuramente, la graduale strutturazione di livelli di comprensione capaci di accogliere lo spessore della sofferenza e del dolore, non può avvenire casualmente, ma necessita di un “setting attivo” che ne  permetta l’esistenza.  Il “gruppo di lavoro” o “gruppo-paziente” di stampo bioniano, inteso come strumento di elaborazione “trasformativa”, e rivolto in primo luogo allo staff, muovendo molte di queste dinamiche maturate sul campo, disvela in tutte le sue sfaccettature la comunicazione di gruppo, le varie rappresentazioni del paziente, e crea le condizioni per realizzare l\'adeguato \"contatto\" che chiamiamo  \"curare\".

Uno studio clinico con visione psicoanalitica gruppale.

Nell’ambito di un progetto di ricerca presso l’oncologia sperimentale dell’ospedale Civico di Palermo, rivolto alle pazienti con pregressa malattia tumorale alla mammella, abbiamo utilizzato un vertice osservativo di intervento di tipo psicoanalitico, ispirato alle teorie bioniane .

Il progetto “Diana 5” (1), effettuato in collaborazione con l’ “Istituto Tumori di Milano” ha lo scopo di ridurre importanti fattori di rischio, attraverso il cambiamento di alcune abitudini alimentari e dello stile di vita (WCRF 2007).  Modificare alcune “abitudini”, risulta terapeutico perchè, secondo alcuni studi condotti da vari ricercatori in tutto il mondo negli ultimi trenta anni, il consumo di alimenti di provenienza vegetale e non industrialmente raffinati, la riduzione dei grassi, la preparazione del cibo secondo una concezione più salutista, l\'attività fisica anche se moderata, consentono una maggiore protezione dai tumori e dalla comparsa delle recidive.

Nel Progetto, rivolto a pazienti che hanno attraversato buona parte dell’iter terapeutico, abbiamo considerato  come punto  “nevralgico”  proprio il “reclutamento”.  Chi riceve una diagnosi di tumore, subisce uno stress psicofisico a tutti gli effetti, tanto che le reazioni emotive che si dipanano, possono essere molteplici e differenti, ed in alcuni casi produrre effetti sul percorso terapeutico stesso. I bisogni psicologici, come il bisogno di rassicurazione e di vicinanza emotiva da parte dei familiari e dello staff che cura, il bisogno di ricevere informazioni chiare sulla malattia e di ridefinire la propria vita quotidiana, il bisogno di mantenere una buona comunicazione, rappresentano esigenze comuni, accanto alle necessità assistenziali e di cura. Emozioni come la rabbia, la paura, il senso di colpa, possono prendere la forma di sintomi ansiosi (insonnia, agitazione, difficoltà di concentrazione) e/o depressivi (inappetenza, apatia, tono dell’umore deflesso), con preoccupazioni riguardanti ad esempio l’immagine corporea, la gestione dello stress, la difficoltà di programmare il futuro. Si tratta di sentimenti non solo normali, ma anche utili ed alla base della “elaborazione” dell’evento “malattia oncologica” vissuto.  

Negli incontri effettuati in ospedale, la dimensione relazionale ospedaliera, che durante l’iter terapeutico, era intesa quasi esclusivamente come fornitrice di linee guida e protocolli terapeutici, poteva ora essere “vissuta” come uno “spazio” in cui la propria storia, le proprie abitudini, venivano poste al centro di una riflessione comune, e dove tutte le “coloriture emotive”  si sarebbero  dischiuse.  Nei nostri “incontri  in gruppo”, è stata incentivata e “costruita” la motivazione a ”partecipare” ad un trattamento terapeutico “nuovo”, è stata “sollecitata” l’attivazione della “progettualità”, che in alcune di loro ci sembrava sopita.

Si sono preordinati 30 incontri gruppali, a cui hanno partecipato circa 15 pazienti per volta, spesso  accompagnate da un familiare per un totale di 450 persone. L’interesse per prerogative nuove nell’ambito del proprio benessere, mediate dall’alimentazione e dalla visione unitaria di “Sé stessi”, hanno  contribuito alla strutturazione della “mentalità orientata alla cura” di tutti i partecipanti, operatori sanitari compresi. Il valore ed il  significato semantico che il cibo assume, hanno permesso di trasferire l\'ordine simbolico della malattia, verso un ordine simbolico in cui il valore nutritivo, ripropone il senso della vita e del benessere, tanto da essere considerato come una “terapia”, con valore adiuvante al processo di cura.

Il progetto ha permesso di utilizzare uno “spazio ed un tempo” volti a costruire un “tessuto relazionale” necessario a favorire il percorso narrativo dei vissuti di malattia, ed a ristrutturare alcune falle, che, secondo una medicina ortodossa, ovvero difesa, risultano invece “necessarie”.

Operativamente, le dinamiche relazionali sono state orientate verso l’integrazione, la condivisione e l’elaborazione dei cambiamenti esistenziali, dovuti alla malattia e alla compliance. Riteniamo che tale esperienza, seppur limitata nel tempo, possa considerarsi supportava, per la prevenzione delle problematiche psicologiche che, a volte, consideriamo più debilitanti della malattia tumorale stessa. 

Rivolgendoci, ora, alla specificità del valore terapeutico, e del concetto di cura in senso psicoanalitico, in “Esperienze nei gruppi” (1961), Bion parla di malattie (diseases) che «si manifestano nell\'individuo, ma hanno delle caratteristiche che dimostrano chiaramente come sia il gruppo più che l\'individuo ad esserne affetto» (p. 110).Queste «“malattie di gruppo” (group diseases) trovano la loro matrice nel sistema protomentale, sono cioè funzione del gruppo e devono essere studiate in questa sede. »

Nella nostra esperienza, sono “ricomparsi”, sulla scena terapeutica ospedaliera, alcune categorie di pensiero che per molto tempo non si “ritrovavano” più. Ha ripreso  quota la possibilità di riunirsi per parlare di un progetto di cura, si è dato credito alla possibilità che le pazienti potessero “frequentare” l’ospedale per ricevere informazioni, per parlare di loro, e non solamente per riferirsi ad un sintomo specifico.

Le interazioni dinamiche durante gli incontri, ci davano spesso, fino a qualche tempo fa, la sensazione di condurre una esperienza quasi “trasgressiva”, e sicuramente innovativa. La immissione nel “campo gruppale” se da un lato poteva trovare sprovvisto di “difese” l’operatore sanitario, dall’altro poneva altresì le pazienti ad un contatto relazionale diverso, nuovo e anch’esso sprovvisto di difese.   Vi erano due tipologie di configurazioni motivazionali: chi “voleva curare”, e chi invece “voleva farsi curare”, immersi in un contesto di cura completamente nuovo, legato a presupposti diversi, dove le modalità d’incontro, avevano “per la prima volta” un aspetto più conviviale, pragmatico, interattivo e speculare.

Il modello psicoanalitico di stampo bioniano, utilizzato come modello di conduzione degli incontri, ha dato spazio a questa nuova visione terapeutica, ed ha favorito l’integrarsi di percorsi terapeutici, provenienti da modelli di riferimento diversi (medico, biologico, teorico-psicologico).

Il gruppo di lavoro (formato da più figure professionali: 3 biologi dirigenti, 2 biologi borsisti, 1 statistico informatici, 1 tecnico informatico, un medico oncologo, una psicoterapeuta) durante le varie fasi operative di preparazione del progetto stesso e le riunioni di staff, si è “centrato” molto sulle difficoltà comunicative che si incontravano, sulla inevitabile trasparenza di aspetti affettivi che, in un certo qual modo, in un primo momento sembravano “ostruire” la fluidità e, tutto sommato, la linearità del progetto stesso. Potere ricorrere alla lettura “affettiva” di queste difficoltà ha permesso, in primo luogo, di accettare e fare proprie le caratteristiche simbolico-motivazionali dell’interazione “umana” e, in definitiva, tenere presente che, nelle situazioni di diretta interazione con i pazienti, si conduce una dimensione dell’esperienza completamente diversa. Il soggetto immerso in un gruppo esprime le proprie “comunicazioni” (affettive, difensive, operative, di cura, etc.), in una maniera più “tangibile”, con pochissime possibilità di nascondimenti. Il “processo esperenziale” avvenuto nel gruppo di lavoro è stato abbastanza difficile e tumultuoso; il dovere necessariamente vivere attraverso il contatto con il paziente, risonanze affettive dovute all’esperienza di malattia, non è stato facile, e siamo tuttora al lavoro. Tale “comprensione” ci sembra, peraltro, la indispensabile base, per consentire la “pensabilità” di una esperienza come l’ammalarsi di cancro, che, nella sua “drammaticità”,  sia dal punto di vista biologico che psicologico, nega ogni diritto di cittadinanza a pensieri più “costruttivi”, orientati alla moderna ricerca ed alla validità delle cure.

« “La sofferenza psichica, la possiamo considerare derivante da un eccesso di situazioni traumatiche che hanno determinato più stimoli sensoriali di quanti si potessero digerire. In casi più gravi, la sofferenza deriva da una difettualità dell\'apparato per pensare i pensieri che è rimasto ipotrofico rispetto al compito di continua rielaborazione cui è costantemente chiamato; in casi ancora più gravi, la sofferenza deriva invece da una carenza dello stesso apparato (funzione alfa) deputato alla formazione dei pittogrammi emotivi, delle immagini di esperienze percettive. » (Bion 1962, 1963, 1965).

(1) Riferimenti:

Progetto Diana 5, Studio randomizzato e controllato per valutare l’efficacia della dieta e della attività fisica nella riduzione del rischio di recidiva di carcinoma mammario e sulla base di parametri ormonali e o metabolici, condotto dal dr. Franco Berrino, Fondazione IRCCS INT, Milano, in collaborazione con numerosi centri oncologici italiani (Tra i quali l’ Oncologia sperimentale di Palermo. ARNAS Ospedale Civico Palermo. Responsabili del progetto dr. Giuseppe Carruba e dr.ssa Adele Traina.  Psicologa di supporto del progetto: dr.ssa Cecilia Dolcemascolo, Palermo)


 
 
 
Versione italiana Italiano   |   English version English
 
Area Riservata
 
 
 
 
Foto & messaggi
inviati dai nostri lettori
 
 
 



Ricerca personalizzata


 

Fotografare la sofferenza
reportage fotografico di
Lorenzo Palizzolo
Luglio 2010
 
 
 
 
Rubrica curata da
Andrea Cracchiolo
Daniela Palma
 
L’evoluzione della sensibilità e della resistenza agli antibiotici
Evolution in the antibiotic susceptibility and resistance

Stefania Stefani
Le Infezioni in Medicina, Supplemento 3/2009
Dipartimento di Scienze Microbiologiche, Università degli Studi di Catania



Soccorso extraospedaliero del paziente intossicato da CO
Medicina Subacquea e Iperbarica N. 2 - Giugno 2007 - 45

L. Cantadori, G. Vezzani



 
 
|Link
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Link consigliati



POT POURRI
Rivista di
Fotografia Arte Cultura

www.potpourrimensile.com

scarica la brochure



Rivista di
Recensioni Librarie

www.satisfiction.it

Scarica il numero

 


www.nottidiguardia.it

 
 
Credits | Mappa del sito | Privacy policy
Copyright © 2005- 2015   TimeOut Intensiva  - Le informazioni in questo sito possono essere utilizzate unicamente citando la  provenienza e l'autore
Da un'idea progetto di S. Vasta realizzata da Gaspare Grammatico



Le informazioni riportate su questo sito sono rivolte a anestesisti, rianimatori, intensivisti, medici, nurse, personale sanitario studenti psicologi psicoanalisti e internauti appassionati della materia; hanno unicamente finalità educative e divulgative, non intendono incoraggiare l'autodiagnosi o l'automedicazione, e non possono in alcun modo sostituire il parere del Medico di Fiducia. L'utente non deve pertanto utilizzare le informazioni ricevute per diagnosticare o curare un problema di salute o una malattia, senza prima aver consultato il proprio medico curante. L'informazione medica presente nel sito, in breve, serve a migliorare, e non a sostituire, il rapporto medico-paziente.