numero 14
26 luglio 2010
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ASSOCIAZIONE O.N.L.U.S “GASPARE MANERI” Assistenza Socio/Sanitaria Cerebrolesi Presidente: Rosalba Maneri

LA CURA DI UN VEGETATIVO

narrata da M.Francesca Sapuppo
 


Una tragica circostanza ha fatto incontrare noi Rianimatori e Rosalba Maneri.  E’ avvenuto oramai tanto tempo fa quando il papà di Rosalba, Gaspare, è stato ricoverato presso la nostra Unità Operativa, la II Rianimazione dell’Ospedale Civico di Palermo, per un grave trauma cranico in seguito ad un incidente.

Né noi né la Neurochirurgia abbiamo potuto fare niente per restituirgli quella che la maggior parte dell’umanità chiama “vita”, abbiamo potuto solo restituirgli una sopravvivenza in stato vegetativo.

Parlo al passato perché il papà di Rosalba è recentemente morto dopo anni di accudimento amorevole in quello stato da parte di una famiglia affettuosa, in condizioni di assistenza a casa pari a quelle di un centro specializzato.

Rosalba è una donna garbata, energica e decisa. Nonostante il dolore provato dice sempre, rivolgendo gli occhi al cielo, che questa è stata per lei un’opportunità. Lei dice che nulla accade senza motivo e che forse tutto è accaduto affinché lei  potesse conoscere questo problema e potesse così essere di aiuto ad altri nelle sue stesse condizioni attraverso l’ associazione intitolata al suo tanto amato padre, “Gaspare Maneri”.

Ma quale è questo problema?

E’ un problema recente, nato da quando la tecnologia ha permesso forme di vita umana sconosciute fino a poco tempo fa.

Noi Rianimatori lavoriamo per impedire la morte e per non far soffrire,  ma se la nostra rianimazione è sicuramente determinante per impedire la perdita di tante vite, diventa terribile per non dire orripilante quando non restituisce alla vita un paziente ma crea mostruosità come i pazienti in coma persistente, i vegetativi…, i cronici, i tanti come il papà di Rosalba.

Questi pazienti erano prima della rianimazione tutti esseri umani, ma i loro corpi e le menti diventano irriconoscibili rispetto a se stessi, orribili: rattrappiti, iperestesi, bocche spalancate, serrate che emettono suoni, occhi senza sguardo, fermi nei loro letti, in tutto dipendenti da altri, senza mai riuscire a comunicare ad altri.

Questi sono pazienti che vivono una condizione di cui non si sa neanche dare una definizione di vita e di morte.

Perchè se l’esistenza diventa vita per la storia che ci si costruisce dentro allora loro sicuramente esistono, ma vivono?

Ed allora nasce la domanda: cosa è un cuore che batte, un respiro che entra ed uno che va?  Può essere la vita di un uomo, può essere la vita di un organismo o forse è solo la morte tecnologicamente sospesa in un processo di morte naturalmente avviato.

La rianimazione crea involontariamente questi mostri e poi non sa che fare. Poteva evitarlo?  

Questi pazienti, a cui noi Rianimatori non rivolgiamo più cure intensive, vengono accuditi giorno per giorno con impressionante pazienza dagli Infermieri. Loro li lavano, li nutrono, li muovono, li coprono, ma con un malessere che è l’espressione degli stessi incubi e fantasmi che attanagliano ognuno di noi al pensiero di poterci ritrovare nelle stesse condizioni.

La relazione di cura, che si crea con questi pazienti senza vita e senza morte è unilaterale o mediata dai parenti, e siamo noi stessi Operatori di Terapia Intensiva che ci costruiamo una storia di cura.

I parenti arrivano ogni giorno a vederli e anche loro come noi non hanno certezze. Così le loro domande: sono vivi e perché non si svegliano? Ed allora sono morti e mantenuti dalle macchine?

I parenti vivono con noi, li vediamo ogni giorno arrivare, ed il nostro lavoro diventa sempre più difficile quando nella stanza dei colloqui stai accanto a loro che vorrebbero notizie di un risveglio che non arriverà.

Li guardi e sai che non avranno a che fare con la morte, che è una certezza anche se dolorosa, ma con la sofferenza quotidiana della cronicità dell’incoscienza.

E lì ti senti a disagio e inadeguato a continuare a trattare questi pazienti in cui hai la sensazione di produrre un prolungamento del processo di morte anziché della vita, e li vedi morire lì in quei letti, soli, con sonde, tubi, devastati nel corpo senza poter dare loro una adeguata dignità del morire.

Ed i parenti che rimangono increduli per giorni, aspettando un risveglio, soffrono non la sofferenza del morire del loro caro ma la sofferenza del loro non vivere.

Vivono questa relazione unilaterale con i loro cari incoscienti in tanti modi: chi non riesce più ad avvicinarsi a quei letti, chi parla con loro come se ascoltassero, chi li tocca e li bacia, chi piange per giorni, chi non ha più lacrime, chi, come Rosalba, decide di portali a casa.

Tutti con l’identica angoscia, il coma gli ha strappato la loro storia d’affetto. Non è morto, non è vivo, è disperso e si attende, che cosa?

Attendono quel giorno di morte, dopo mesi di avere atteso invano un miracolo, dopo avere esaurito tutte le speranze, in modo ambivalente. Sperano tutti che quel giorno sia senza ulteriore sofferenza, tutti ne hanno paura ma tanti lo preferiscono a quelle sofferenze disumane che la rianimazione ha creato e la tecnologia mantiene.

Sono e rimangono soli, noi incapaci dentro la rianimazione di dare una risposta medica, la società incapace di dare una risposta umana e solidale ad una condizione inesistente prima dei progressi della tecnologia.

Rare sono le famiglie che possono permettersi quello che ha fatto la famiglia Maneri. Rare sono le famiglie che sopravvivono a questi accadimenti più devastanti della morte.

Sì più devastanti della morte perché una famiglia si ritrova non solo nel dolore  ma anche ad accudire quasi in totale solitudine il proprio caro. L’assistenza domiciliare in Sicilia è veramente esigua ed inoltre impreparata a queste rare forme patologiche.

Se non vi è una famiglia allargata uno dei congiunti deve rinunciare al proprio lavoro per un’assistenza continua, come dice Rosalba “ci si deve inventare sanitari, fisioterapisti, badanti, psicologici….e poi senza alcuna speranza”.

Non più una giornata libera, non una vacanza dal malato e da se stessi, si comincia a morire da vivi per un vivo già morto, spesso colui che accudisce si ammala di una malattia senza nome: “la disperanza”.

Ed è di questo che le famiglie hanno paura, paura di “non farcela”, per questo sono restii a portare via i malati dalla Rianimazione o dai Centri di Riabilitazione.

Ed allora Rosalba dopo avere passato tutto questo, e tanto altro che non ho raccontato perché appartiene a quanto di più intimo una persona  possa provare in questi momenti, ha deciso di fondare questa associazione “Gaspare Maneri” in Sicilia, per consentire ad altri nelle stesse condizioni della sua famiglia di avere un appoggio concreto in queste enormi difficoltà, attraverso la costruzione di un centro specializzato che possa anche temporaneamente accogliere questi pazienti.

Il 3 marzo 2007 Rosalba ha fatto il primo passo, ha presentato attraverso il “1° SEMINARIO SULLE CONDIZIONI DEI PAZIENTI IN STATO COMATOSO E VEGETATIVO” l’associazione ed ha permesso l’incontro di tutte quelle parti sanitarie, politiche, sociali, culturali che sono coinvolte in questa sfida.



 
 
 
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