Mani
S. Vasta
 



Cigolio di ruote, voci concitate in sala rossa. Suona il telefono. "E' arrivato, forse vent'anni... per com'è ridotto, non sappiamo neppure da dove cominciare... venga!".
Notte fonda e piatta in rianimazione, spezzata dalla voglia del ragazzo di trasformarsi nel pupazzo scomposto che vedo lì sulla barella. Aveva lanciato la sua macchina alla massima velocità contro un muro appena fuori dal paese. Un mix di coca ed ero gli aveva tolto anche gli ultimi dubbi. E l'onda d'urto, nel ritrarsi, gli aveva portato via la vita, lasciandogliene addosso tracce minime.

Una folla di mani esperte gli stavano già girando intorno, e le mie si aggiunsero alle loro, cercando di tamponare quello squarcio, quella perdita di luce che inevitabilmente lo aveva reso grigio e freddo come appariva adesso, ombra ferma al capolinea di un ultimo confine, in attesa del nulla, per oltrepassarlo.


Il mio primo colloquio con padre madre zii e fratelli, aveva dato sfogo ad un improvviso agitarsi di mani; che si torcevano tra loro, nascondevano la faccia, toglievano la maschera, torturavano un bottone.
Poi, a ridosso del letto dove il ragazzo era disperso, quelle mani impacciate, che non riuscivano a toccarlo, strette dietro la schiena a stritolarsi, divennero col tempo sospese e titubanti, impaurite dal tocco che avrebbe potuto infrangere quella fragilità soffiante.
E finalmente, prese di coraggio, pian piano iniziarono a carezzarlo, col vigore residuo alla speranza.

Quando, dando notizie oggi, le peggiori, mi rivolsi a quel muro del pianto che era il mio stesso muro, loro appoggiati da una parte, io dall'altra, come a parlarci attraverso una crepa sottile tra mondi sconosciuti, quelle mani sfinite non diedero più segno, strette in cerchio a bisbigliare nenie, col pianto che colava libero, senza più ostacoli.

Sparendo dietro la porta della stanza, guardo sul monitor il ragazzo, ridotto a linee e numeri, che sta ora rallentando fino ad esaurirsi. Vado di là. Lo assisto, insieme ad altre mani che sanno di rinuncia.
Con penna nera archivio la sua morte; e da dietro i vetri, me ne sto a guardare quelle mani, mani di parenti, che dalla loro bocca passano alla sua, come trasmissione immaginifica di baci e di preghiere; che risistemano quel ciuffo di capelli, quasi fosse reliquia fuori posto.

Mi alzo ed esco, oltrepassando lacrime e singhiozzi; tra poco non resterà di lui più nulla, tranne un dolore sordo, resuscitato alla visione del ricordo, ma ormai senza più oggetto, senza luce.

15/10/2008


 
tratto dal numero 14