numero 14
26 luglio 2010
chi siamo usa il sito texné curatori archivio pagina iniziale
 
 
 
|Newsletter
Nome:
e-mail:
 
 
|Dite la vostra su...
 
 
 
 
 
 
 
Noi aderiamo ai principi HONcode.
verify here.
 
 
L'ipnotista
Lars Kepler

2009 Longanesi
594 p.
 
Il seme della colpa
Christian Lehman

2009 Meridiano Zero
158 p.
 
 
 
 
“There is an ocean that divides …” (CD)
Scott Matthew
- 2009 Glitterhouse Records -
 
DUE CD E... UN LIBRO

“Hidden”
These New Puritans
- 2010 Hologram -
 
Il manuale del contorsionista (CD)
Craig Clevenger
 
“Espers III” (CD)
Espers
 
 
manda una cartolina a un amico con i quadri di "Daro" Diana.

 
 
 
 



scarica la brochure
e la scheda d'iscrizione




vai al sito ESICM

 

 

 

 

Web Design & Engineering

 
 
Il reparto di Rianimazione dell’Ospedale: strano posto per sperimentare l’amicizia.
di dr. Paolo Malacarne
Anestesista Rianimatore Ospedale di S. Chiara, VI U.O. di Anestesia, Rianimazione e P. S., PISA

Marco ha la mia stessa età: oggi sono 48. Ci conosciamo da quando avevamo 20 anni: abbiamo fatto i capi scout insieme, ci siamo sposati a distanza di 2 mesi, abbiamo 3 figli più o meno della stessa età, facciamo le ferie insieme, ci vediamo spesso a cena durante l’anno;
condividiamo cose concrete, problemi e ansie (…i figli); c’è amicizia e stima reciproca; riusciamo anche ad avere idee diverse senza che questo cambi la voglia e il piacere di stare insieme; ma sul lavoro siamo in due mondi separati: io medico rianimatore in un reparto di Rianimazione di un grosso Ospedale; lui prima operatore, poi presidente di una Cooperativa sociale per il recupero e il reinserimento di tossicodipendenti; soprattutto il mio lavoro in Rianimazione è per lui quel che è per tutti quelli che non hanno mai avuto in sorte di dover frequentare una Rianimazione: tanti macchinari, tanti tubi e cannelli, e pochi che ci escono vivi. Il mio lavoro rimane una nicchia dove anche un amico difficilmente può entrare, capire. A meno che uno non ci sia costretto…
Il 10 maggio 1996 alle 5 di mattina squilla il telefono sul mio comodino:
“Non sono reperibile” è il mio primo pensiero, “vuol dire che è successo un casino in reparto”
“Pronto ?”
“Paolo, sono Marco: mio fratello Francesco è appena stato ricoverato da te in Rianimazione per una emorragia cerebrale; è in coma. Il tuo collega gli ha messo un tubo in gola per farlo respirare e mi ha detto che è gravissimo. Puoi venire ?”
Da quel momento il calvario di Francesco è durato 3 mesi. E per uno di quei 3 mesi Marco ha “vissuto” la mia Rianimazione e io ho vissuto il mio lavoro gomito a gomito con una amicizia tanto discreta quanto ingombrante, perché non è stato lo stesso decidere quali terapie praticare su Francesco o su un perfetto sconosciuto.
Si dice e si legge che lavorare in Rianimazione espone al rischio del burn-out perché non è facile sopportare il peso quotidiano del rapporto con la morte, con la sofferenza dei malati e soprattutto dei familiari, con il dover prendere in tempi rapidi decisioni che condizionano pesantemente la vita e la morte dei malati, nel breve ma anche nel medio e lungo periodo. E se il malato è il fratello di un amico c’è qualcosa in più, qualcosa che irrompe nelle più o meno solide difese che dobbiamo costruirci per poter affrontare il nostro lavoro quotidiano con quel tanto di distacco che ci permette di decidere con “razionale e sereno distacco” quel che c’è da fare; e se oltretutto è ad un amico che dobbiamo parlare della gravità delle condizioni di suo fratello, del pericolo di vita, di “come resterà se rimane vivo” …
Ogni giorno entrando o uscendo dalla Rianimazione, passando nell’androne delle scale dove stanno i familiari dei ricoverati (“ci tenete sulle scale, con 4 o 5 seggiole per 20-30 persone, è vergogna” mi disse Marco 2 giorni dopo il ricovero di Francesco) incrocio il loro sguardo che vorrebbe da me un cenno di “..va tutto bene…”; anche Marco mi guarda, e lì per lì non dice nulla; ma la sera alle 18, al momento del colloquio con i parenti mi gela: “ certo Paolo, quando passi veloce davanti a noi sei come un giudice che ha in tasca la sentenza ma che non vuole leggerla perché ha da fare cose più urgenti o importanti”. La fatica del rapporto con i familiari: come riuscire ad esprimere insieme la gravità della situazione, il pericolo di vita e insieme non spegnere la speranza di un possibile recupero ? Come mostrare pietà, compassione, essere vicini senza perdere la autorevolezza di chi ha in qualche modo in mano le sorti del malato ? Non possiamo ridurre tutto a 5 striminziti e frettolosi minuti, magari in piedi al letto del malato o in un corridoio, oltretutto usando un linguaggio poco comprensibile. Tutto questo lo sapevo, ma un conto è saperlo e un conto è stato sentirmelo dire da Marco.
Dopo una settimana dal ricovero, una sera siamo a cena insieme con le nostre famiglie e altri amici, l’atmosfera non è certo allegra, ma qualcuno si sforza di tenere in piedi una certa normalità.
“Ma Paolo, è possibile che stasera o stai nel tuo mondo o dici stupidaggini ? Non si può fare un discorso !” Dice mia moglie Grazia (che cerco sempre di lasciare fuori dai miei problemi di lavoro).
“ Grazia, dice Marco, oggi in Rianimazione è morto un ragazzo di 15 anni”
Marco aveva capito che quando un malato, soprattutto se giovane, va male, tutto il dolore e la sofferenza che vediamo e il pensiero di non aver fatto quello che forse avremmo potuto fare, tutto questo non possiamo e non riusciamo a tenercelo dentro e da qualche parte e in qualche modo deve venire fuori; proprio lui, con la sofferenza che si portava dentro, aveva colto e compreso il mio stato d’animo e mi “compativa”: mi sentivo come accolto da lui: un bel salto di qualità per un rapporto di amicizia.
Ogni giorno in Rianimazione dobbiamo prendere decisioni terapeutiche che possono valere la vita o la morte del malato: procedure invasive (mettere tubi e cateteri dappertutto), utililizzo di farmaci potentissimi e quindi pericolosissimi, ecc. Dobbiamo impostare programmi di cura con conseguenze a breve, ma anche a medio e lungo termine; dobbiamo saper gestire una tecnologia molto sofisticata, ma anche molto pericolosa. E tutto questo piano piano, giorno per giorno, Marco lo capisce, e quando mi dice “Dai Paolo, ce la possiamo fare” mi carica di un “dolce peso”: peso, perché responsabilità (anche) mia se Francesco andrà bene o male, ma dolce, perché lo portiamo insieme, anche se lui non è un medico.
Dopo una decina di giorni Francesco sembra migliorare, ma la respirazione non è ancora autonoma. Decido che è venuto il momento di fare una tracheotomia. Ne ho fatte diverse, ma per Francesco preferisco farla fare ad un altro collega, comunque esperto. Per vigliaccheria ? Perché non mi sentivo tranquillo nel mettere le mani addosso al fratello di Marco ? Non mi sono mai dato una risposta precisa, ma me lo sono chiesto ancora tante volte: dopo 10 giorni compare una grave complicanza iatrogena: un buco tra la trachea e l’esofago, causato probabilmente dalla tracheotomia fatta male o gestita male. Una complicanza descritta sui libri, che può venire anche in mani esperte. Ma una complicanza seria che rimette Francesco in pericolo di vita. Colpa mia ? Non posso fare altro che parlarne con Marco: nel suo sguardo e nelle sue parole non c’è risentimento né tanto meno collera:
“Paolo, so che stai facendo tutto per il meglio; so che questo poteva accadere e tu non hai colpa”. Già, la colpa.
Marco si rimette ancora nelle mie mani, e questo non fa che aumentare in me il senso di responsabilità verso quel malato, ma sopratutto spazza via quel senso di colpa che nel nostro lavoro può rendere paurosi, timorosi di fare, in poche parole impedire di far bene quel che sappiamo fare; quando una scelta terapeutica esita in un insuccesso o tanto peggio in un danno grave, anche se è una complicanza prevista e possibile, mi chiedo sempre dove ho sbagliato, se quel malato fosse stato in un’altra Rianimazione migliore della mia … Credo che la reazione di Marco mi abbia radicalmente aiutato a non impantanarmi nel senso di colpa per errori o omissioni che purtroppo capitano nel mio lavoro.
Decido di trasferire Francesco in un altro ospedale dove hanno più esperienza nel trattare chirurgicamente queste gravi lesioni della trachea. Non è una scelta facile, perché significa di fatto dire a colleghi del mio Ospedale con cui devo comunque collaborare, che porto il malato da chi è più bravo di loro 8 e i medici sono molto suscettibili..); se non fosse stato il fratello di Marco avrei fatto lo stesso ‘ Anche qui credo che nella mia storia professionale questa vicenda mi abbia “affrancato” da un subdolo desiderio di quieto vivere nell’ambiente di lavoro.
Francesco torna a Pisa dopo circa un mese: non è più un malato da Rianimazione, è cosciente, respira da solo e il danno alla trachea è riparato. Ma ha una infezione nel sangue (una infezione presa in Ospedale) che non lo molla, che lo debilita e che dopo circa un mese di inutili cure lo uccide.
Dopo qualche giorno Marco mi ha regalato un pioppo; me lo ha portato e me lo ha trapiantato accanto all’aia, davanti a casa mia: adesso è alto e vigoroso, e d’estate nel pomeriggio fa una grande ombra sull’aia permettendo a noi grandi di chiacchierare ai bimbi di giocare al riparo dal sole. Spesso quando lo osservo ripenso alla vicenda di Francesco, che è finita nel peggiore dei modi: perché non sono riuscito a tirarlo fuori ? Spesso noi rianimatori siamo facile preda di una sorta di delirio di onnipotenza: la vita degli altri nelle nostre mani. E se il malato va bene, siamo stati bravi, se va male pensiamo, anche in buona fede “..se avessi fatto questo, se avessi fatto quest’altro, se avessi…” come se tutto dipendesse da noi. Insieme al pioppo Marco mi ha dato anche una lettera, che mi riporta con i piedi per terra e riapre domande di senso ogni giorno aperte e ogni giorno più o meno accuratamente richiuse: stava già scitto questo finale ? Cìè un disegno dietro a tutto questo ? Perché tanta sofferenza inutile ?
Sono certo ( o quasi) che se Francesco si fosse ammalato qualche anno dopo non sarebbe finita così: meno errori iatrogeni, più continuità nella assistenza, più esperienza, più organizzazione nel lavoro. Può essere terribile dire una cosa così, ma è la realtà; e quando l’ho detto a Marco, qualche anno fa durante le ennesime ferie fatte insieme, solo un amico mi avrebbe potuto rispondere: “Paolo, non arrenderti di fronte agli errori tuoi o degli altri, o di fronte alla disorganizzazione. Nessuno mi può ridare Francesco, ma almeno qualcosa di meglio si può e si deve fare.”


articolo già pubblicato su Ricerca e Pratica 2006; vol 22; fascicolo 5 (settembre-ottobre).
 
 
 
Versione italiana Italiano   |   English version English
 
Area Riservata
 
 
 
 
Foto & messaggi
inviati dai nostri lettori
 
 
 



Ricerca personalizzata


 

Fotografare la sofferenza
reportage fotografico di
Lorenzo Palizzolo
Luglio 2010
 
 
 
 
Rubrica curata da
Andrea Cracchiolo
Daniela Palma
 
L’evoluzione della sensibilità e della resistenza agli antibiotici
Evolution in the antibiotic susceptibility and resistance

Stefania Stefani
Le Infezioni in Medicina, Supplemento 3/2009
Dipartimento di Scienze Microbiologiche, Università degli Studi di Catania



Soccorso extraospedaliero del paziente intossicato da CO
Medicina Subacquea e Iperbarica N. 2 - Giugno 2007 - 45

L. Cantadori, G. Vezzani



 
 
|Link
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Link consigliati



POT POURRI
Rivista di
Fotografia Arte Cultura

www.potpourrimensile.com

scarica la brochure



Rivista di
Recensioni Librarie

www.satisfiction.it

Scarica il numero

 


www.nottidiguardia.it

 
 
Credits | Mappa del sito | Privacy policy
Copyright © 2005- 2015   TimeOut Intensiva  - Le informazioni in questo sito possono essere utilizzate unicamente citando la  provenienza e l'autore
Da un'idea progetto di S. Vasta realizzata da Gaspare Grammatico



Le informazioni riportate su questo sito sono rivolte a anestesisti, rianimatori, intensivisti, medici, nurse, personale sanitario studenti psicologi psicoanalisti e internauti appassionati della materia; hanno unicamente finalità educative e divulgative, non intendono incoraggiare l'autodiagnosi o l'automedicazione, e non possono in alcun modo sostituire il parere del Medico di Fiducia. L'utente non deve pertanto utilizzare le informazioni ricevute per diagnosticare o curare un problema di salute o una malattia, senza prima aver consultato il proprio medico curante. L'informazione medica presente nel sito, in breve, serve a migliorare, e non a sostituire, il rapporto medico-paziente.