numero 14
26 luglio 2010
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IL SORRISO DI UN CORPO DI PIETRA
di M.Francesca Sapuppo


con una introduzione al racconto: Il risveglio dal coma.
Introduzione al racconto : IL RISVEGLIO DAL COMA
di M.Francesca Sapuppo

Questo racconto illustra cosa significa per il Curante il risveglio di un paziente comatoso, malato con cui non può comunicare con le parole, e con cui può parlare solo attraverso se stesso.
Il risveglio è un momento che può non avere segni oggettivi certi, a volte è così soggettivo che non è evocabile da tutti quando lo si ricerca. E’ qualcosa che “senti” sul tuo corpo, che il malato ti riverbera, perciò in questo stato d’incertezza spesso noi Rianimatori diciamo “mi sembra sveglio”. E’ un momento con una connotazione affettiva notevole, perciò non sfugge quasi mai a chi ha passato molto tempo con quel malato, perché diventa in grado di avvertire anche un impercettibile cambiamento.
Questo scritto è dedicato a Libera Dolci e Carlo Romano che in un corso di formazione mi hanno consentito di attraversare e percorrere questo ambito di conoscenza

IL SORRISO DI UN CORPO DI PIETRA

Ritorno da un “corso sul corpo”.
E’ notte come quando si rientra a lavoro. La cosa più bella, le stelle alle finestre sopra i malati. Il caldo è torrido, la voglia di mare ancora di più.
Mi seggo a quel tavolo e prendo consegne. Mi piace sentire il tempo degli altri, il loro racconto del giorno: i malati e le loro condizioni cliniche, le proprie condizioni e gli aneddoti su colleghi e parenti. Il tempo degli altri sarà diverso dal mio.
Mi dice perplessa: “Con la malata non entro in contatto, non capisco se è sveglia”.
E’ una donna severa, lo era da prima, da sempre; la sua malattia, il suo lavoro la hanno resa con le labbra all’ingiù, due pieghe nel mento di chi non è più abituato al sorriso.
Entro spingendo il carrello, sono sola con loro, i malati. Li sento presenti, ma l’atmosfera è come irreale. Nessuno è presente, gli occhi sono chiusi, immobili nei loro lenzuoli.
Il coma è lì, ti lascia il tuo corpo, ti toglie la mente. Io, tu, ti sostituisci a loro: ha fame, ha sete, ha prurito, vuole essere spostato. I tuoi pensieri di uomo dedicato alla cura diventano i loro. E se invece ci fosse il loro pensiero? Disorganizzato, alterato…
Mi avvicino al suo letto, la chiamo. Nessuna risposta. Sollevo il suo braccio, il suo tono…è presente, l’avverto. E se fosse il mio pensiero sostitutivo di sempre?
No, ho imparato a quel “corso” a riconoscere bene il tono del corpo; ecco cosa ho imparato e non lo sapevo. Lei è sveglia.
Decido di giocare con lei, come ho imparato a quel “corso”. La chiamo per nome, poi per cognome, poi per titolo e dico: “Io ti guardo, ti sto guardando” e mi metto ai piedi del letto. Poi dopo, nessuna parola, sola la mia, negli occhi chiusi di lei.
Passa lentamente del tempo, il silenzio lo rende ancora più lento.
Ad un tratto apre gli occhi, la continuo a fissare, mi lascio fissare da lei. Nessuno dei due abbandona lo sguardo, l’attendo, non è donna abituata ad abbassare lo sguardo.
Il silenzio.
Gli angoli della sua bocca riversati sul mento, le labbra sottili tutte di dentro.
Sorrido, di bocca di sguardo ed attendo.
Comincia un tremore a quegli angoli, diventano linee, linee riverse alle guance. Il sorriso è avviato, l’arresto difficile. E’ sveglia.


 
 
 
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