numero 14
26 luglio 2010
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Uscita di sicurezza
di S.Vasta

Anestesista rianimatore, Asl 9 TP
Pantelleria - Genaio 2008
Timeoutintensiva.it: Giugno 2008



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Nota a margine: questo racconto, assolutamente immaginario, lo potremmo definire come un percorso attraverso il quale intravedere la solitudine del nostro lavoro. L'onnipotenza ed i suoi limiti, le paure per l'ammalato e per se stessi, il tentativo di rimuovere i ricordi più spiacevoli, che questo nostro insostituibile lavoro ci affida, là dove cerchiamo di evitare la morte di qualcuno a volte senza riuscirci. Infine le tracce che la medicina intensiva ti lascia sulla pelle; come quando, spenta la luce e tornati a casa, dovremmo cercare, quasi fossimo robot, di staccare la spina e dimenticare; spesso senza riuscirvi.

Uscita di sicurezza
by  S. Vasta

Me la trovai davanti mentre le porte mi si chiudevano alle  spalle; nel vederla i miei pensieri balbettarono, il passo mi mancò; mi sentii come per strada, quando attraversando sulle strisce, senti lo stridio dei freni e ti fermi, perchè non sai né dove andare, né come evitare il botto. Fu un attimo. L’avevo già incontrata, e non c’era da stare allegri ad incrociarla. Come d’abitudine se ne stava in disparte, seduta lì sullo sgabello, le gambe accavallate, la solita aria di gelido distacco cucita addosso. Alta e curatissima, era come sempre vestita di bianco, oggi con una gonna castigata ed il colletto del top alla coreana un pò demodè. Non avrei saputo dire, guardandola, nè quanti anni avesse nè se fosse bella o brutta, con quel viso pallido e sfuggente, che più lo mettevi a fuoco più ti rimandava un'immagine sfocata. Quando entrai, alzò gli occhi dal libro che stava leggendo, e mi fissò con quel suo sguardo indifferente che ti senti dentro come mani che rovistano in un cassetto.

Poi, infastidita, abbassò gli occhi e tornò a leggere quel libro che portava sempre con se, nel quale ora sembrava cercasse qualcosa, scorrendone le pagine avanti e indietro, con le punte delle dita laccate nero. Per il resto non era truccata. Non dava fastidio. Quasi non c'era, in quel luogo dove per tutti era la norma fare finta che non ci fosse. Ma se guardavi, la vedevi riflessa lì, in fondo ai loro occhi; ombra cupa come il mare quando si tira sopra la coperta delle nuvole. Specie nei casi incerti.

Allungai il passo per scrollarmela di dosso; in passato, quando si era messa in mezzo, il suo sfiorarmi mi aveva raggelato, avvolgendomi in una nebbia buia, dove vagavo col freddo nelle ossa. Un attimo dopo un vuoto improvviso risucchiava via quel black out a zero gradi; e, quando la bruma diradava, Lei era già andata via, lasciandosi alle spalle, come eco del suo passaggio, un grande vuoto, la perdita, il lutto. Macerie.

Il paziente era salito in sala operatoria direttamente dalla radiologia. L'emorragia cerebrale, alla Tac, gli circondava l'encefalo come una bandana stretta ed umida, ma lui era ancora risvegliabile. Desaturava però, andava giù l'Ossigeno e saliva la CO2, quindi si era deciso di mettergli un tubo in trachea, lì in fondo alla gola, e collegarlo alla macchina che gli avrebbe permesso di respirare meglio; per fare tutto questo e salvarlo bisognava aprirgli la bocca, che per una vecchia frattura di mandibola era anchilosata e ridotta ormai ad una fessura. Il problema al momento stava tutto lì: i tentativi già fatti li rifeci anch'io, ma nulla; era ventilabile, e con difficoltà, solo col pallone dell’ossigeno ed una cannula minuscola. Le scelte non erano molte, o la tracheostomia d'urgenza, o il broncoscopio pediatrico. Una scelta difficile, che poteva costarmi la sua vita.

Quando mi sentì chiedere, si girò appena, guardandomi di sottecchi con ironia e sufficienza, dato che sapeva come, quella decisione che in urgenza è opinabile, avrebbe deciso ancor di più la sua presenza. Poi osservò il malato. Era l'unico di cui in quel momento le interessasse qualcosa. Non ritornò a leggere; come segnalibro mise un dito tra le pagine. Ora ne guardava solo la copertina, ma sapevo che aspettava me, le mie mosse.

Col broncoscopio, dopo un primo momento di difficoltà, riuscimmo a passargli un tubo pediatrico in trachea ed a ventilarlo. La desaturazione era arrivata al limite, ma ben presto il paziente riprese a respirare ossigeno e lentamente risalì. La parte più difficile era di fatto superata, ma sentivo sulla schiena come un senso di pericolo

Mi guardai intorno, sperando di non trovarla; ma era sempre lì, ora in piedi, con quelle sue gambe lunghe, le scarpe nere ed eleganti, il libro posato sulla sedia. Stava a braccia conserte come a dire "no che non è finita, forse ancora c'è qualcosa che devi fare !". La sua ironia era sprezzante. I suoi occhi due fessure sornione.

"arresto!!! paziente in arresto cardiaco!! defibrillatore in carica... 180 joule... 260..." Su un sottofondo di allarmi bitonali assordanti, la voce metallica del monitor ripeteva adesso la lettura del chip che lo programmava. Con foga, scoprimmo subito il torace del malato e lo defibrillammo due, tre volte. Nulla, neanche con i farmaci. Il cuore fibrillava ma dopo la scossa ripartiva ad un ritmo sempre meno organizzato, per poi tornare a fibrillare. Massaggiavamo ormai da più di mezz’ora.

Intanto Lei si era fatta più vicina. Sentivo freddo; tutto sudato per gli sforzi fatti, avevo gli occhiali appannati. Per la paura di non farcela a salvarlo, evaporavo nella neve. 

Preso dalla disperazione di quel cuore che non ripartiva, e dalla rabbia del non sapere più che cosa fare col paziente per smettere di considerarlo morto, feci un’ultima cosa, che a volte mi era riuscita, e con tutta la forza che avevo in corpo gli sferrai un potente pugno sullo sterno, un “thumb” secco e professionale, da vecchio pugile suonato che giunto all’ultimo round, solo con un knoch out può risolvere l’incontro a suo favore;   

Quando “la signora in bianco” sentì quel botto sordo, e mi vide riverso sul paziente, quel suo sguardo altero s’incupì. Ed alle grida "è ripartito, è ripartito!" con un gesto secco chiuse il libro, infastidita da quello che considerava solo un  contrattempo.

Il paziente era ora lievemente tachicardico; il mio energico “Thumb” aveva funzionato su quel cuore come una secca frustata, una sferzata al suo ritmo. Il cuore batteva sincrono. Le pupille mi dicevano che c'era ancora, forse avrebbe potuto superare quel momento.

Ormai in piedi, Lei ripose il libro nella sua borsetta nera, si lisciò la piega della gonna sul davanti,  e con sguardo indifferente prese congedo avviandosi verso l'uscita. Pigiò exit e scomparve al di là, quando la porta automatica della sala operatoria le si richiuse dietro. Ma, sollevato, quasi non ci feci caso...

... preso ormai da un altro allarme insistente e rauco, che mi svegliò completamente nella mia camera da letto, calda come un forno. Avevo puntato la mia vecchia sveglia per la mattina dopo, senza accorgermi che la puntavo per la sera. L'avevo sognata di nuovo: era stato tutto solo un sogno; in cui, per la prima volta, avevo evitato alla signora, il solito, per lei, lieto fine. Gli avevo portato via una vita. L’avevo battuta come un divino guerriero. Ero sudato, e non per il calore; non avevo fiato; l'amaro in bocca e l'angoscia del respiro erano il risvolto di aver sentito quel sogno come una fiaba deludente, l'impossibile avverarsi di un infantile desiderio. Un colpo di teatro. Una riparazione. A me, nella realtà, era andata peggio. La notte prima il paziente non aveva risposto alla terapia, lo avevamo tracheostomizzato d'urgenza col chirurgo, ma il trauma facciale e toracico era stato devastante ed era morto ancora in narcosi. Cuore fermo, ma col torace che respira solo perchè la macchina lo ventila. E non c'era la Signora col suo libro. Nè una via di fuga per lasciarsi tutto alle spalle. C'ero solo io. 

Uscii in balcone. Guardai fuori; le barche rientravano a decine, per loro una giornata piena, lì sull'isola. Per me una notte di nuovo insonne. Forse dovevo smetterla con quel lavoro dopo tanti anni. Ma senza... nel crepuscolo le luci si accesero pian piano una dopo l'altra, tremolando...  soltanto una, di un giallo accecante, lampeggiava a singhiozzo illuminando, con la sua scritta sbilenca, più che le scale antincendio della terrazza ristorante, per cui era nata, le molte case intorno. Tra queste, anche la mia pulsava delle sue parole intermittenti:

Uscita di sicurezza. 

Pantelleria, Gennaio 2008

Timeoutintensiva.it Giugno 2008


 
 
 
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