numero 14
26 luglio 2010
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MUSICA MAESTRO
di Marco Palmeri





Settembre 2009

… Dario si svegliò all'improvviso e prima del tuono e della successiva linea serpeggiante tra il viola e l'azzurro che i suoi occhi, ancora chiusi, potevano solo immaginare delinearsi nel cielo, sentì quel suono insidioso e familiare, una sorta di sibilo amplificato, ascoltato a tutto volume, un sibilo che poteva sentire viaggiare nelle vene accompagnato da una rapida discesa della temperatura e dall'immediato rallentamento, quasi un arresto, del battito cardiaco.
"Le sirene - disse - rivolgendosi a Chiara che vegliava sul suo sonno ormai da cinque anni - le senti? le sirene...che ore sono?"
"Che è successo? - rispose Chiara con la voce ancora impastata - perchè non mi hai raccontato com’è andata al lavoro? sono le quattro, le sirene non ci sono. E' successo un'altra volta...io sono qua, non avere paura."
Dario le strinse la mano, quasi vi si aggrappò, con l'altra tentò di accendere la luce, poi ci ripensò e capì che le sue parole desideravano il buio per venire fuori. "Si chiama Daniele - disse - ha venticinque anni. Ha un viso da orientale ma è di Agrigento...non so altro". Fece una pausa e riprese, e la sua voce fu, per un attimo, sovrastata da un altro tuono, un rumore sordo e prolungato che lo riportò indietro nel tempo: il suo viso sommerso dalle coperte, immobile, nel letto della sua casa al mare dove villeggiava da bambino con la famiglia. La paura del tuono gli paralizzava i muscoli e gli spingeva dentro il fiato. In quei momenti la vita sembrava scorrere al contrario, come un nastro riavvolto con velocità dalle testine, un pò sporche, di un registratore. Come adesso.
Chiara gli strinse più forte la mano e lui intuì che lo stava invitando a continuare il racconto.
"Daniele ha avuto un incidente mentre guidava la sua auto - riprese - un colpo di sonno forse, è finito in una scarpata, sulla solita strada per Agrigento, è rimasto incastrato tra le lamiere per ore, forse per tutta la notte, fin quando un pastore all'alba non ci ha chiamati. Sai stavo bevendo il latte che mi avevi preparato, l'avevo appena versato dal termos nella tazza. Niente ambulanza, Daniele l'abbiamo raggiunto in elicottero. Sono stato il primo a scendere, Faceva freddo e pioveva. Abbiamo lavorato in quattro, le solite procedure. Il solito odore dell'inverno. Sangue e pioggia. Un odore acre, se avesse un colore sarebbe il verde. Ho iniziato a lavorare su di lui, le ginocchia affondate nel prato e gli occhiali appannati, era messo male, anzi malissimo. Ho notato la sua collana. Oro massiccio e un nome inciso in un rettangolo d'argento che stava per staccarsi. Sicuramente era stato aggiunto, credo che non facesse parte della collana. L'impatto doveva avere indebolito il piccolo anello che permetteva ai due gioielli di rimanere uniti. Il nome era Barbara. Barbara. Mentre proseguivo con la rianimazione, sussurravo quel nome, perfettamente consapevole che Daniele, l'orientale di Agrigento, non potesse sentirmi. Ma chissà...Barbara - continuavo a ripetere - torna da lei, torna." "non ce la fa..." - dicevano gli altri al mio fianco. L'avevo intubato, Daniele era pronto per il viaggio verso l'ospedale. Un attimo - ho chiesto - ho passato la mia mano sui suoi capelli nerissimi e lisci, quasi li ho ricomposti. E' stato in quel momento che ho visto Daniele al mare, disteso sulla sabbia, l'ho visto mentre baciava Barbara, le diceva che l'amava e lei rideva, rideva. Così mi sono messo a ridere anch'io e gli ho sussurrato all'orecchio che scherzavo, che non volevo prenderlo in giro.
"Credi che ti stia prendendo in giro? - ho detto - Credi che abbia una faccia da schiaffi? Credi che la tua Barbara non ti prenda sul serio?"
"Dottore, andiamo, andiamo..."
Sangue e pioggia, ancora, inizia il nostro viaggio al contrario. Come un nastro che qualcuno aveva riavvolto. Ho premuto un tasto, come per gioco, ho soffiato sui comandi, spolverato gli ingranaggi. Le mie dita su quella superficie morbida e compatta. I miei occhi che non servono a niente. Sono le mie mani che muovono quegli stupidi fili distorti.
"Guardi che non riparte..." - mi hanno urlato - e allora ho soffiato un'altra volta, più forte. E ho visto lento, lento, il play, quel tasto nero più duro degli altri, che affonda con maggiore difficoltà, l'ho premuto fin quando non l'ho sentita. La musica. E' ripartita.
"Musica maestro..." lo diceva sempre mio nonno. "Musica maestro..." e la musica andava...prima piano, poi più forte...sempre di più. "Musica maestro" - ho detto a Daniele - mentre l'odore di sangue e di pioggia ci aveva lasciato per dare spazio al ballo di fine anno.
"Le scosse che procura l'elicottero specie quando si innalza in volo, Chiara, mi ricordano sempre il terrore delle interrogazioni di fine anno". "E' stabilizzato - stiamo tornando" - ho comunicato via radio, Barbara stiamo tornando - ho pensato - mentre sfilavo a Daniele la sua collana. L'ho ripulita e l'ho messa in tasca. Il rettangolo d'argento con il nome inciso non si è staccato. L'anello che li teneva uniti doveva essere piuttosto forte... Ho sempre freddo sull'elicottero. Sono stanco e mi sento vuoto. L'aria soffia dentro, giù, verso lo stomaco. Come la vita quando scorre al contrario. Daniele, l'orientale di Agrigento, non so altro...Quando siamo rientrati in base il termos era ancora caldo. Ho finito di bere il latte, mi sono disteso sulla poltrona e ho dormito.
"Che ore sono?, poco fa non ti ho ascoltata". "Sono le quattro e mezza - rispose Chiara - ti preparo una tazza di latte". "Si grazie, grazie. Dimenticavo...oggi sono libero".
 
 
 
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