Qualche settimana fa a San Francisco, nel corso del congresso dell’American Psychiatric Association (APA), è stata ufficialmente presentata la quinta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5), frutto di una lunga gestazione durata oltre dieci anni. Il presidente dell’APA, Jeste, in un’affollata conferenza stampa, ha definito il nuovo manuale un importante passo avanti, frutto di un dibattito scientifico senza precedenti, che aiuterà milioni di pazienti a ricevere il trattamento più appropriato sulla base di una diagnosi accurata. Tuttavia la popolare rivista medica on-line Medscape Medical News intitolava il suo articolo di commento alla presentazione di Jeste in modo poco incoraggiante: DSM-5 officially launched but controversy persists. In effetti la preparazione del DSM-5 è stata accompagnata da critiche e polemiche che si sono intensificate mano a mano che i suoi contenuti venivano resi pubblici. È impossibile esaminare in dettaglio le caratteristiche del manuale e le discussioni che ha scatenato, considerando le ragioni dei detrattori e dei sostenitori, e mi limiterò quindi a entrare nel merito di alcuni aspetti soltanto. Pochi giorni prima del congresso di San Francisco, con notevole tempismo e scarso fair play, Insel, direttore del National Institute of Mental Health, cioè l’agenzia pubblica più importante al mondo per il finanziamento delle ricerche in salute mentale, ha emesso un comunicato in cui commentava con toni quasi sprezzanti il nuovo prodotto delle fatiche dell’APA2. Egli sottolineava che il nuovo testo, lungi dall’essere la Bibbia che tutti aspettavano, era nel migliore dei casi un semplice glossario, in cui una serie di etichette diagnostiche coprivano raggruppamenti di sintomi la cui aggregazione si basava sul consenso degli esperti, ma non su evidenze scientifiche riguardanti l’eziologia o l’identificazione di marker di malattia. Con questa affermazione Insel affondava il coltello nella piaga, in quanto originariamente la decisione di procedere a una nuova versione del manuale era stata presa nella previsione dell’imminente individuazione delle basi neurobiologiche dei principali disturbi mentali, che avrebbero permesso finalmente di fondare la diagnostica psichiatrica su categorie legate a una ben definita fisiopatologia. Questa aspettativa, che ha ritardato così a lungo la preparazione del manuale, è alla fine rimasta delusa in quanto i progressi tanto sperati della psichiatria biologica non ci sono stati e l’approccio esclusivamente biomedico ai disturbi mentali rimane al momento attuale una presunzione ideologica non basata su dati scientifici. La rivoluzione quindi è stata rinviata e di conseguenza le diagnosi si fondano sempre su criteri descrittivi legati all’osservazione del comportamento e a quanto riferito dai pazienti, così come era avvenuto per le due precedenti edizioni del DSM.
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R. Bellomo, J.A. Kellum, C. Ronco
Intensive Care Med (2004) 2:115-119 Ed. Italiana
Gaetano Scotto, Fabio Bulla, Francesca Campanale, Alessandra Tartaglia, Vincenzina Fazio
Le Infezioni in Medicina, n. 3, 175-188, 2013
Eugenio Santoro
R&P 2013; 29: 167
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Fonti N.°26, DICEMBRE 2013
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-Il Pensiero Scientifico Editore
-IL Giornale Italiano di Medicina
del Lavoro Ergonomia PI-ME Pavia
ISSN 1592-7830
http://gimle.fsm.it
-Intensive Care Med 2004
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-La Fondazione Gimbe
-europeantransplantcoordinators
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-Biomed Central Open Acces
http://www.biomedcentral.com/
-Evidence
www.evidence.it
-American Council on Bioethics
www.bioethics.gov
-PLOS ONE | www.plosone.org
-J S C Med Assoc.
http://publicaccess.nih.gov
Ultima Modifica 23 Dicembre 2013