In un tempo ormai lontano, quando si tracciavano strade nuove ed atipiche al rock classico, c’era un proliferare di gruppi che innestavano nuovi tipi di suono sulle ossature essenzialmente rock.
Forse i Colosseum non sono stati i più rappresentativi del genere allora chiamato jazz-rock, ma, con John Hiseman alla batteria, Dick Heckstall-Smith ai fiati, Dave Grenslade alle tastiere, Tony Reeves al basso e Jimmy Litherland alla chitarra, la formazione base degli esordi, sono stati in grado di stuzzicare le orecchie degli ascoltatori sino ad allora non abituati a questo tipo di contaminazione che metteva in risalto qualità sicuramente meno rumoristiche ma più ricercate.
Il suono si faceva complesso e tentava di liberarsi dagli stereotipi dell’epoca, operazione alquanto rischiosa, anche se in genere non venivano rinnegate le matrici rock; potevano forse sembrare spocchiosi con i loro virtuosismi, ma la potenza espressiva che riuscivano ad infondere alla loro musica ti faceva capire che non era proprio così.
“Valentyne Suite” rappresenta il secondo capitolo della loro storia, preceduto da “About to Die” sempre del 1969, senz’altro il loro anno migliore; l’album si apre con “The Kettle”, un pezzo in cui vengono malcelate le sonorità tipiche del blues-rock; già il secondo brano “Elegy” pur non discostandosi tanto dal vecchio filone produce un suono leggermente diverso con l’assolo centrale dei fiati di Dick Heckstall-Smith... Butty’S Blues è principalmente caratterizzato dal suono dell’hammond di Dave Greenslade ritmo quasi sincopato che ricorda il sound di Al Kooper e Mike Bloomfield; “The Machine Demands a Sacrifice” è il pezzo che precede il vero motivo fondamentale del vinile dell’epoca “Valentyne Suite”. Come suggerisce appunto il titolo è una lunghissima suite di circa diciassette minuti formata da tre movimenti: il primo “January’s Search” dura poco più di sei minuti ed è la perfetta introduzione dell’intera suite, con i suoi momenti carichi di intensità, intervallati da sorte di pause, che tendono ad incrementare l’aspettativa di ciò che può seguire, mentre ogni tanto si ritorna indietro, a ripescare qualcosa che sembrava essere stato dimenticato a bella posta con la complicità delle tastiere di Dave Greenslade, per riaffondare poi sul tema di base. Il secondo movimento”Frebuary’s Valentine” è di ispirazione classica completo di coro accompagnato dai fiati; ma è un intermezzo che prelude stupendamente all’atto conclusivo “The Grass is Always Greener” dove, sfruttando sempre la base del tema iniziale, arricchito di svisate di tastiere, si ha la sensazione di partecipare ad una jam session in corso d’opera, dove tutto sembra perfetto ed ogni nota è esattamente dove dovrebbe stare.
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