L’AMORE IN UNA STORIA DI ORDINARIA RIANIMAZIONE
M.F. Sapuppo
 
Da un incipit di Carlo Lucarelli


Più che altro, a stupirla, era stata la naturalezza con cui lo aveva fatto.
Mentre saliva di sopra ci pensava e pensava a come sarebbe stata la sua vita, in futuro, da quel momento in poi. Diversa, migliore o peggiore, forse... ma senz’altro diversa.
E’ da due anni però che non vivo diversamente. Da quel giorno in cui c’è stato, diciamo così, l’incidente.
Ogni giorno salgo sulla corriera e mi presento alle due dietro la porta, con quello che da noi in Sicilia si chiama “portamangiare”. Tiene caldo ciò che preparo per circa due ore: una pappa energetica che non ho più il coraggio di assaggiare, eppure io un tempo con quello uomo dietro la porta, mio marito, condividevo a tavola ogni cosa. Ora ciò che avanza lo butto e mi fa schifo.
Mio marito dicono i medici è in stato vegetativo persistente da due anni, ed io da due anni eseguo sempre lo stesso rito. “Ciaoo.., come stai? A casa tutto bene. Oggi ti ho portato il passato di verdure, adesso te lo do”. Gli infermieri me lo fanno trovare sistemato, pulito, sbarbato, pettinato.
Gli metto una garza sotto il mento, lo imbocco con un siringone e lui comincia a sbavare, alcune volte mangia altre no. Sussulta, sbadiglia. Ma io devo continuare a provare, così mi dicono. Non ha importanza quanto mangia, tanto viene sempre nutrito con un nauseabondo liquame che entra dentro lo stomaco con una sonda.
Una volta mio marito mi appariva bello, ora non saprei neanche descriverlo.
Come è cambiato. Senza espressione, senza rabbia, senza piacere, senza ansia, paura, senza gioia, senza noia. Mi guarda e non mi vede.
Ma cosa è questo stato vegetativo persistente…
Mio marito è vivo, è morto…
La sua esistenza diventa vita solo attraverso la vita degli altri. E’ un tempo attraversato senza storia. Ma io voglio ancora una storia.
Fino a poco tempo fa mi ripetevo che lo amavo, che lo amavo in modo diverso, che con lui avevo ancora una storia. Ma cosa è una storia se non la puoi più riempire di ricordi e di attese.
Sono confusa, a volte ho paura di arrivare e sentirmi dire che è “veramente” morto, a volte vagheggio a cosa dovrei fare dopo la sua morte. Ma ci sarà mai una fine?
Che dolore, è il dolore assordante dei silenzi, è il dolore.
Non saprei fare ciò che fanno per lui gli infermieri. Sono arrivata al punto che lo tocco, lo bacio prima di andar via ma provo una sensazione di nausea al contatto con la sua pelle umida dall’odore di medicinali. Sono diventata cattiva, sono cattiva. O forse sono solo stanca e tra qualche giorno mi passa.
Ma oggi è successo quello che non pensavo potesse accadere, quello che non doveva accadere.
Con l’autista ci conosciamo sin da bambini, abbiamo fatto in paese le scuole insieme. Ci vediamo e ci salutiamo ogni giorno, e solo all’inizio mi domandava “come sta tuo marito”, oramai ha smesso da tempo. Mio marito sta, annaffiato da quella sonda nella stomaco, non c’è un come.
Oggi però è successo qualcosa, ho sentito uno sguardo sopra di me come non mi accadeva da tempo. Era il suo sguardo mentre salivo i gradini della corriera. Come è possibile, anch’io guardavo e non vedevo, ed adesso….è diverso, sono diversa.
E penso per la prima volta, mi riprendo la mia vita senza abbandonare la sua. Mi riguarderò, mi risentirò e mi riconoscerò di nuovo anche con la sua esistenza senza vita. Non mi domanderò più chi non lo ha ucciso quel giorno.
Ritornando a casa, chiese all’autista di fermarsi un attimo ed acquistò il loro dolce preferito, dopo due anni.

Più che altro, a stupirla, era stata la naturalezza con cui lo aveva fatto.
Mentre saliva di sopra ci pensava e pensava a come sarebbe stata la sua vita, in futuro, da quel momento in poi. Diversa, migliore o peggiore, forse….ma senz’altro diversa.


 
tratto dal numero 14