Outcome
Salvatore Vasta
 


<<"... sono andati a schiantarsi contro un camion sull'autostrada... l'asfalto era ghiacciato, il camion di traverso... mio fratello ha tentato di frenare ma scivolando ci sono andati a finire proprio sotto...">>
non potevo fermare quel fiume di parole, mi precedeva << "... e dietro venti o trenta macchine, loro erano i primi...>>, dove e di cosa erano i primi ?!? <<" lì, sotto il camion, e le macchine che sopraggiungevano ci si sono sfracellate tutte sopra, dietro... 22 feriti lui il più grave... è ricoverato in coma alla Rianimazione Universitaria di...".>> un nome inpronunciabile poi... <<" mio fratello è in coma profondo. Ha un ematoma in testa la faccia tutta fratturata... una maschera, torno ora da lì e ne ho capito poco...>>... mi immaginai una forma accartocciata contro il volante, cercandone il volto nella memoria mi accorsi che il fratello non l'avevo mai conosciuto nè intravisto ...<< potresti chiamare per saperne di più... il numero del professore è... mio fratello lo segue personalmente lui...>> annotai il numero ma cadde la linea prima che ci salutassimo; in quest'isola è sempre così... sui mattoni rossi, unico orizzonte della mia finestra aperta, rimbalzò il pensiero di una stanza... un uomo seduto dietro come una foschia, immagine appannata del retrovisore... negli ultimi dieci anni di silenzio Giorgio lo avevo intravisto raramente... per certi versi allora un dio sconosciuto e lontano, ritrovato poi due anni prima in carne ed ossa lì, in mezzo a tutto quel vento... riincontrato in quell'isola "57 chilometri di perimetro" distante tutto il sud, dove lui aveva da anni una casa, ma ero io che oggi lo accoglievo da abitante, per un caso a cui non sai ancora se credere. Mi aveva aiutato a fare i conti con un problema del passato, e ora suo fratello... invece di richiamarlo alzai la cornetta del telefono e dettai il numero del professore.
Nell'attesa che il centralinista mi chiamasse sentii freddo, diedi uno sguardo fuori, si sentiva il mare infrangersi ma non si vedeva, chiusi la finestra, suonò il telefono.
Il fratello era realmente molto grave; e quando richiamai Giorgio a Milano cercai di dare coraggio a tutti e due dicendo quel poco che c'era da dire, un pò freddo come mi sentivo addosso, per arginare il dolore dei suoi "UhUh" sussurrati... delle lunghe inspirazioni. Un grave trauma cranico, fratture pluridistrettuali al viso... un ematoma frontale che non sapevano se operare, edema dappertutto, un alto punteggio degli indici di gravità mentre "la scala di Glasgow" scesa sotto le scarpe andava a braccetto con un elettroencefalogramma fortemento depresso.

"Vedi, noi glielo avevamo detto che era meglio andare su nella svizzera tedesca tutti in vagone letto e Marisena aveva fatto pure le prenotazioni alla stazione" i grandi occhi di lei mi guardano e battono chiudendosi alle pause, cadenzando il racconto "ma sai, lui andava a testa sua; mi disse che partiva in macchina con il suo fuoristrada; aveva da contrattare alcuni pezzi da esporre... ma io avevo un impego proprio la sera in cui partirono... se no ci saremmo stati pure noi"; grattandosi la testa pelata Giorgio non mi guarda, poi neanch'io.

Lo pensava in coma come addormentato... io lo pensavo sospeso in sedazione e ventilazione e come unica speranza una pressione endocranica "thirteen" , 13, al massimo del range di normalità... forse un pelo più su... un numero il "13 di media" attorno a cui altalenammo per due settimane in queste triangolazioni tra la mia casa in mezzo al mare, Giorgio a Milano ed il Professore, in un italiano inglese e tedesco masticato e telefonicamente pasticciato sino a non capirne più nulla. Per due settimane non lo operarono per togliere l'ematoma, difficile da aggredire chirurgicamente dicevano; stiedero ad aspettare ed anche noi, mentre lui stava lì fermo ad oscillare in coma e sedato intorno al suo 13 di pressione intracranica, il suo numero fortunato. Mentre la faccia giorno dopo giorno gli sgonfiava, a volte gli gonfiava il cervello e una nuova Tac decideva se mandarlo sotto i ferri o meno. Era quando quel 13 arrivava a 20, 25. Il cervello si gonfiava, l'ematoma si tendeva, lui tentava di scavalcare il balcone da cui vedeva il buio della sua testa farsi più buio, e buttarsi. Ma poi dopo la tac, la terapia piano piano riduceva l'edema cerebrale ed anche la pressione endocranica, e questa ruota della fortuna e della morte girò attorno a quel 13 per giorni avvicinandocelo verso terra quando scendeva o allontanandolo sino "al cielo" se saliva. E noi con lui.

La settimana di ferie decisa da tempo che passai ad Amsterdam per festeggiare il mio 51 esimo compleanno fu fatta per vicinanza. Pensavo ad una svizzera molto più vicina all'Olanda, rispetto al sud d'europa in cui abitavo, e sentivo che a Giorgio sarebbe piaciuto se fossi andato a vedere lì il fratello. Il numero magico in quei giorni era disceso a livelli trascurabili; sempre in ventilazione ed in coma avevano deciso di farlo risalire dal vuoto nero della sedazione profonda per vedere come e se reagiva. I giorni passati a gironzolare con Anna per musei ebbero da sottofondo un nervosismo per l'attesa che divenne improvvisamente angosciante silenzio per quasi quarant'otto ore. Ma di ritorno, per Milano partì solo lei, io mi ritrovai nella notte su di un treno che attraversando una Germania fredda e poco illuminata mi risvegliò in una Svizzera bianca di neve e di sole, a 200 km dal reparto dove era sospeso il paziente. Quel risalire così velocemente dal suo buio dopo lo stop della sedazione, al fratello di Giorgio non era piaciuto affatto; l'ematoma intracerebrale si era impegnato a diventare sempre più grosso, il 13 diventò 30 stabile e la Tac lo portò di filato in sala operatoria.
Quando arrivai, ad aspettarmi c'erano il fratello più grande ed i suoi nipoti, i figli del malato. Al reparto il professore non c'era ma mi accolsero i suoi aiuti freddi e gentilissimi come spesso si è con un consulente straniero, italiano e per giunta del sud.
Dopo l'intervento era sempre in coma ma la pressione intracranica era scesa drasticamente e dato che erano ormai passati 20 giorni e tre dall'intervento avevano deciso di vedere se nel postoperatorio era possibile farlo respirare da solo. Ed avevono stoppato nuovamente la sedazione.
A me che l'aspettavo ordinata e perfetta, "come un orologio", mi si presentò un rianimazione pulita e caotica con tutti i letti disposti a zig zag. In una grande stanza a forma di stella, mi districai tra un bambino con la testa fasciata coricato in un lettino e una donna grassa sveglia che soffiava in un tubo con una pallina, e fatti alcuni passi mi ritrovai davanti un uomo supino, con la faccia dal profilo sfuggente girata verso il lato opposto, che ricordava alla lontana Giorgio; il ritmo del suo torace era ancora meccanico e ritmato ma lui vi si opponeva con un singhiozzo fastidioso. Guardai le Tac guardai la sua pancia che tentava di respirare anch'essa. Stava risalendo dalla sedazione, se si toccava reagiva con una strana flessione lenta delle braccia seguita da una estensione delle stesse quasi a dire via, basta toglietevi, ora esco: ma 20 giorni di coma, l'intervento e quella pressione sul suo cervello così prolungata non prometteva nulla di buono. Forse se riusciva a superare senza nuove infezioni le settimane successive, se non si fosse instaurato un coma vegetativo se si fosse svegliato, forse... ma i danni dicevano sarebbero stati permanenti; del resto gli score di gravità erano sempre alti e la scala di Glasgow era lievemente risalita ma nulla di che. Uscii pieno di forse e di ma, parlai con imbarazzo ai parenti... ripartii in mezzo alla neve... da Milano dopo una cena a casa di Giorgio piena anch'essa di forse e di ma, di troppe parole messe lì a coprire la tristezza e l' impotenza, volammo più a sud sino alla mia casa con il mare dopo il lago...

<< Capita, in una piccolissima percentuale che quello che tu chiami miracolo sia la deviazione anomala da una costante di gravità con progressione prevedibile... mi spiego... con gli indici di mortalità alle stelle, tutti nella zona rossa di morte imminente, fossero stati americani dopo un pò vi avrebbero chiesto di staccarlo... è davvero raro che un paziente come tuo fratello dopo 4 settimane di coma profondo un grave trauma facciale e un intervento pesante si svegli completamente, ed ora passati 6 mesi cammina parla e ragiona...>>; seduti accanto mi versava del vino, silenzioso, nella sua comoda terrazza a guardare il tramonto sul mare... il caldo scirocco africano, a Nicà era quasi sempre fresco vento leggero... il viola si accese lì in fondo mentre dall'altro lato la luna era già sorta... << non so Salvo... è come un'altra persona... eravamo vicinissimi... ed ora non riesco ad averci un minimo di contatto... è lontano... assente... con atteggiamenti talmente regressivi che non gli conoscevo... sento come in forse, traballante, un rapporto che mi ha accompagnato per tutta la vita...>>... il sole intanto era scomparso dando passo al crepuscolo; la luna sempre più grande torreggiava già più in alto con quel suo faccione ironico..
<< Bambini... sì hai ragione, spesso diventano come dei bambini, anche se poi tornano, ma a volte diversi... il trauma è come una ferita in via di lunga guarigione, come una linea della vita interrotta lì sul palmo della mano e che poi riprende ma con una curvatura differente. Le cose cambiano...>> lui si guardò il palmo della mano mentre io mi immaginai che arrivasse Maurizio, il fratello... non lo avevo mai visto "vivere" e non lo avrei certo riconosciuto vestito, sbarbato, in piedi; quando si sta con la vita sospesa nudi in un letto per giorni, poi nella vita si è diversi... di fatto non l'ho più rivisto.

Concretamente alla fine, ripensandoci a mente fredda, non è stata altro che una consulenza fatta al fratello di un amico. Una semplice consulenza. Capitata per caso, per un caso a cui non sai ancora se credere. Se mai il caso esistesse.

Dedicato a L.D.M.O.
I personaggi i luoghi i nomi sono interamente frutto della fantasia di chi scrive.


 
tratto dal numero 14