Andavo a cento all'ora...
S. Vasta
Dicembre 2007
 


Timeoutintensiva, racconti a margine n. 5

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andavo a cento all'ora
per trovare la bimba mia
ye ye ye ye ye ye ye ye
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ma si brucio' il motore
nel mezzo della via
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G. Morandi, Alexia

Era lì, ma io l'avevo vista poco prima all' alba prendere una aereo,  seguendone il decollo dalla terrazza del terminal. << Ma no, ma guarda bene non è lei, che pensiero...>>. Per un atttimo la paura ed il senso della perdita più la somiglianza tra le due, avevano fatto tornare mia figlia, che era appena partita per la sua università del nord, lì su quel letto, ciocche bionde nelle mani di chi le stava tagliando, naso affilato, occhi chiusi in sedazione. Ne vedevo a tratti solo il volto, tra l'agitazione dei tanti che le giravano intorno assistendola, spingendomi fuori e poi tirandomi dentro, come un'onda di risacca col suo va e vieni, mentre io cercavo di forzare quella marea umana per guardarla meglio; fermare con uno scatto una flebo nella sua caduta, me la portò vicino agli occhi in tutto il suo sfacelo; per un'attimo, gurdandola, mi assalirono dubbi su un'identità altra ed ormai altrove, ma che le assomigliava come una goccia d'acqua; ed il ripetermi << no, non può essere lei...>> in un'angoscia atemporale che ormai si stava affievolendo, fu interrotto da una voce alla mia destra, urlo quasi afono di chi ha passato una notte priva di sonno e di silenzi, una voce tesa come una corda di violino ma rauca, bitonale, spesa all’esaurimento nel rincorrere l'attesa di un ok all' intervento operatorio, da parte delle equipe chirurgiche dell’ ospedale impegnate in altri gravi traumi in sala operatoria; una messa in coda obbligata, mal sopportata dal mio collega tra le mille telefonate del caso. Lo guardo, guardo i segni della notte scavati sulla faccia che mi parlano, <<sono troppo stanco per essere lucido, la porti tu in sala operatoria, la stanno aspettando, finalmente... la porti tu...>. Mentre cammino dietro a lei ed al letto, spinta da tutti nell'ascensore di là di fronte a noi, la guardo opaco preso come sono dalle veloci consegne, che mi arrivano al cervello come una raffica di cui non puoi perdere neanche un colpo, perchè non saranno ripetute con la stessa logica e calzante progressione.

Andavo a cento allora per baciar la bimba mia, ye ye ye ye..., era una canzone dei miei tempi... forse dei tempi di mio padre più che dei miei.
Lei invece andava a 250 all'ora <<circa>> come dissero poi i carabinieri, abbracciata al fidanzato su una moto da corsa spinta al massimo nel buio, felice spensierata ed incoscente; vestita dei suoi splendidi 19 anni e dell'amore per gli ingranaggi e la velocità che la legava a quel ragazzo; lavoravano insieme lui e lei; come meccanici di quelle fuoriserie da velodromo.
Quella notte, correvano in autostrada dietro quel loro inarrestabile amore per se stessi e per il vento, superando il senso del pericolo sempre più in velocità; poi fu la citta’ a tentare di fermarli ma non decelerano, anzi, di più, più forte, dai ! ; ma d'improvviso è bagnato per terra o forse una pietra, chissà... quel proiettile chiamato moto si piega, slitta, striscia contro il bordo della strada; lui muore subito carambolando sull’asfalto; ma lei non ha tempo neanche d’ accorgersene e lo saprà solo giorni dopo, dato che al momento scivola a cavalcioni, non sulla sella, ma sul filo del guardaraill, mentre la motocicletta, ormai ridotta ad un rottame, capitombola tra i fari. Lei, messa lì, a cavallo di quell'affettatrice, col suo bordo di metallo che le è arrivato già su, sino all'ombelico, verrà fermata in quella scivolata mortale, dall’albero ai bordi della strada e dal palo della luce, trenta metri dopo l’incidente.
Quaranta giorni dopo, 6 o sette interventi più in là, una polmonite da ventilazione, una sepsi, un braccio andato che non muove più, un piede rigido ed un bacino ancora tutto da ricostruire, sorride, ormai sfebbrata, ai miei occhi stanchi che la guardano, ormai persi oltre il limite della passione per i propri ammalati. Come se badassi una figlia mia, ormai dormo e mangio spesso lì in reparto, per badare a lei, la mia adottata, in tutto troppo simile alla mia di figlia, ora troppo lontana, ma che telefona ogni tanto da Milano per chiedermi come sta la sua "gemella", come la chiama lei.
Una mattina di quell'inverno tiepido ritorno al lavoro dopo una notte di sonno a piombo, un veloce cambio d' abiti a casa ed una breve doccia fredda da scaldabagno dimenticato spento; apro e mi incrocio con Francesca sulla porta a molla del reparto; per un'attimo le chiedo notizie della mia "malattia" come la chiama lei, la supero ma mi blocco su quella parola, "Trasferita!". La rabbia è solo un balbettio, le mani sono in tasca e ci restano, serrate; "perchè!?!" più che una domanda è un'accusa sottintesa dai miei occhi che tentano di incenerirla; ma lei mi abbraccia, si stacca, e prima di uscire mi dice che la "paziente" è in chirurgia plastica e sta bene dove sta; poi prima di sparire, chiamata per una consulenza, mi sussurra che l' hanno trasferita "anche per te, così non ci perdi più la testa".
Ieri Federica, erano mesi che non la sentivo, mi ha telefonato dopo aver subito il suo ventitreesimo intervento questa volta nuovamente al bacino, ed è l'ultima; mi racconta che le hanno messo però anche una placca al piede sinistro, per evitare che per il troppo peso si perdesse anche quella di articolazione; ma mi rassicura, come ha sempre fatto in questa inversione dei ruoli che ormai dura da sempre dopo la sua dimissione. Sono passati 6 anni, lei si è diplomata assistente sociale, ha fatto un erasmus a Friburgo, ed ha deciso di andare a vivere da sola, ora che non ha bisogno più di aiuto da nessuno; nè delle stampelle o della sedia con cui i fratelli e la madre la trasportavano casa casa. Mi chiede di mia figlia che non ha mai visto, ma di cui ha sempre sentito parlare e che ora dopo la laurea in economia lavora con successo nel campo della moda. Il braccio come va, sempre fuori uso ? le chiedo. Ma lei mi dice che in Francia hanno fatto miracoli sul plesso brachiale interrotto dall'incidente e ora riesce a muovere appena le dita, anche se il braccio destro ormai, secondo lei, è andato. "Ancora due mesi di fisioterapia e torno come nuova. Magari poi faccio anche una sfilata".

Ridiamo di cuore.


 
tratto dal numero 14