numero 14
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26 luglio 2010
La medicina basata sulla narrazione è uno strumento indispensabile in terapia intensiva per superare il disagio restrittivo della terminologia scientifica. L'importanza della “conoscenza tacita”.
M.F.Sapuppo, *M. Fobert Veutro, **D. Bongiorno, R. Tetamo, S. Vasta, S. Matranga, F. Martorana


26 luglio 2010
 
II Rianimazione Terapia Intensiva ARNAS Osp.Civico - Via C.Lazzaro - Palermo (Italy)
*Facoltà Scienze Politiche Università di Catania - Via V.Emanuele, 49 - Catania (Italy)
**Dipartimento Salute Mentale 4 - Via Fattori - Palermo (Italy)
A.P.I.C.E. Selected papers. Trieste 17-21/11/2000

L'osservazione sistematica è stato il primo strumento disponibile in Medicina per operare in modo scientifico. Il "Corpo Ippocratico " è il primo testo che tramite l'ordinamento dei sintomi e dei segni - diretti o ricercati -ricavati dall'osservazione dei pazienti classifica le malattie. L'osservazione diventa il metodo per fare diagnosi ed operare la scelta di cura e la verifica del metodo diventa l'esito stesso della malattia.
Nasce la malattia quale entità osservabile dalla Scienza Medica, rimane il malato quale entità osservata dal Medico...
Il Medico è ancora l'interprete unico della realtà e quindi ciò che è soggettivo (l'osservazione e l'interpretazione dei sintomi e dei segni) è di per sé oggettivo e vero, cioè valido per giustificare ed operare la scelta di cura.
Successivamente, con l'avvento degli studi sulla fisiologia umana, l'osservazione viene rivolta all'organismo, non riferito al singolo malato. La verifica non consiste solo nell'esito della malattia ma anche nel risultato di esperimenti basati su modelli specifici, che fanno riferimento ad un organismo estrapolato dal malato. E' il primo tentativo di rendere intersoggettivo ciò che appartiene al singolo Medico (l'osservazione dell'evento o del fenomeno) attraverso una verifica oggettiva e strumentale della veridicità dell'osservazione. In Medicina vengono introdotti i linguaggi della Matematica e della Fisica per ricercare con l'ausilio di un linguaggio formalizzato la norma, cioè i valori numerici di riferimento, al fine di pervenire alla certezza dell'interpretazione e quindi della scelta di cura.
In epoca più recente si arriva ad estremizzare la possibilità di eliminare il dubbio dell'interpretazione e dell'incertezza di cura attraverso la presunta precisione di modelli statistici. Modelli però che osservano del malato solo dati numericamente misurabili, praticando un processo di astrazione, di cernita dei dati inseriti, che scarta numerosi dati e particolari non misurabili della realtà contingente di un malato. Nella pratica clinica questi dati possono essere molto significativi e possono rivelarsi oltremodo utili. Il Medico può quindi rischiare di non essere più un interprete inserito in un processo di cura ma un esecutore di protocolli stabiliti a partire da modelli di malattie ideali e non da pazienti reali. In Terapia Intensiva questo rischio esiste grazie alla possibilità di rilevare molti parametri numericamente misurabili mediante strumenti tecnologicamente sofisticati. Ma qualsiasi Rianimatore conosce l'utilità e i limiti delle rilevazioni dei suoi strumenti e quindi utilizza regolarmente se stesso come strumento di rilevazione di eventi e fenomeni non sempre oggettivabili. Inoltre il Rianimatore, contrariamente allo strumento inanimato, diventa con il tempo uno strumento sempre più? sensibile, anche perché si trova ad operare in una condizione molto particolare: osserva spesso pazienti che non possono comunicare i loro sintomi e può solo rilevarne i segni clinici. I segni vengono continuamente annotati, spesso solo nella mente e in modo non sempre consapevole, e correlati sia secondo una "logica tipologica", che utilizza i canonici criteri di riferimento studiati, sia secondo criteri di analogie e somiglianze strettamente personali. Questo processo non sempre è cosciente.
Per rendere chiaro quanto detto prima è possibile fare anche due soli esempi, tra i tanti, noti a chiunque lavori in Terapia Intensiva. E' successo a molti di noi di osservare pazienti con parametri strumentali, laboratoristici nella norma, di cui però sentiamo intuitivamente la gravità e la possibile immediatezza della morte senza riuscire a declinare ed esprimere in un linguaggio scientifico i motivi e le giustificazioni delle nostre impressioni. Come dice Wittgenstein "vediamo come qualcosa". Ed ancora: quante volte è successo ad ognuno di noi di cogliere e comprendere il risveglio dal coma di un nostro paziente pur in assenza di dati oggettivi, ripetibili, verificabili da un altro Medico.
Ovviamente tutto questo bagaglio di conoscenza, apparentemente non scientifica, perché dipendente dalla sensibilità e dalla attenzione del singolo Medico, non verificabile da strumentazione, può essere solo narrata e trasmessa in modo esperenziale perché ancora non troviamo o non si è formata una terminologia cosiddetta scientifica. Eppure, come noi sappiamo, ciò che ci orienta negli iter diagnostici e terapeutici spesso non sono solo le condizioni cliniche attuali del malato ma il racconto delle sensazioni, delle intuizioni del Medico che ci ha preceduto e del modo in cui ce le racconta, cioè anche la comunicazione non verbale di emozioni e sentimenti. Il racconto ci serve per esprimere concetti non comunicabili con i soli termini scientifici, consentendoci di superare la ristrettezza espressiva della terminologia scientifica. Si tratta inoltre di trasmissione di conoscenze in forme non sempre esplicite e consapevoli. In questi casi risulta determinante l'intervento della cosiddetta "conoscenza tacita" (Polanyi), intendendo con questa espressione sintetica tutto quel patrimonio di conoscenze che la mente umana possiede e usa per guidare azioni e comportamenti ma che non è in grado di esplicitare oppure può esplicitare con sforzo in modo nebuloso e parziale. Infatti, sia nella comunicazione della vita quotidiana che nella comunicazione scientifica una parte della nostra conoscenza è sottintesa, data per scontata, esprimibile con difficoltà ed una parte non è esprimibile in quanto sfuggente, non persistente e/o inconsapevole. Questo genere di conoscenza è quella che ci permette di fare rapidamente delle stime con buona approssimazione, di intuire, perché "il pensiero inconscio opera con velocità e correttezza su tanti dati, il pensiero cosciente lavora con disagio quando ha molti dati"(Bozzi), perché "la mente umana è l'unico agente capace di registrare in una sola volta innumerevoli variabili e di rilevare le correlazioni tra di loro. Essa è il solo strumento capace di comprensione" (Allport).
Di fatto, osservando il gruppo di lavoro di una Terapia Intensiva polivalente, abbiamo rilevato che nella comunicazione interna il linguaggio scientifico è spesso insufficiente per esprimere conoscenze non basate sui cinque sensi e/o estensioni di essi. All'interno del gruppo può svilupparsi un linguaggio specializzato che non è basato solo su un comune accordo, ovvero su una convenzione, ma anche su un sentire comune che talvolta non trova una corrispondente parola. Termini come vitalità, voglia di vivere non hanno dei corrispondenti matematici né possono essere misurati, pur tuttavia essi trovano posto nel giudizio clinico per lo meno al pari di tanti altri parametri vitali determinabili quantitativamente.
La valutazione clinica che non è dimostrabile attraverso un parametro oggettivo diventa rivelatrice di una condizione soggettiva che si sta vivendo, ed è comunicabile solo a colui in cui si ha fiducia. Il clima di fiducia, che si può stabilire all'interno di un piccolo gruppo di lavoro, permette di trasformare in parole sensazioni ed intuizioni che potrebbero anche non cogliere nel segno o non rivelarsi esatte. La fiducia fa sì che questa valutazione soggettiva non sia considerata dal gruppo senza senso o delirante ma possa essere accettata come una condizione di temporanea sospensione in attesa di ulteriore comprensione e chiarimento sia da parte di chi ascolta sia da parte di chi parla. La comunicazione di un sentimento per esempio è una comunicazione privata ed anche se non entra a far parte dei congressi scientifici non può essere negata come evento reale. La possibilità che questa comunicazione soggettiva cominci a diventare di gruppo le dà un valore diverso, condivisibile e confrontabile, per cui inizia ad entrare a fare parte del bagaglio della conoscenza condivisa di quel gruppo. Il problema non è, quindi, negare questa parte della realtà considerata non scientifica ma cercare di capire come questa parte della realtà è comunicata all'interno del piccolo gruppo e come si può rendere partecipe di tale comunicazione un gruppo più allargato (altri gruppi di lavoro o l'intera comunità scientifica) che non condivide la medesima esperienza relazionale, esperienza a cui il piccolo gruppo di lavoro fa riferimento nel momento in cui esprime un concetto usando termini che non fanno parte della terminologia scientifica.
Questa è una sfida che oramai si impone a noi Medici per non essere schiacciati dalla nostra stessa Scienza che nonostante i continui progressi non è "esatta" e mantiene in sé quella componente di "Scienza anormale" che continua a renderla "un'Arte".
 
 
 
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