numero 14
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26 luglio 2010

Un'introduzione storica:
RIFLESSIONI SUI TRATTAMENTI DI FINE VITA: leggendo qua e là gli atti del congresso ESICM 2007.

Dr.ssa Serafina Ardizzone, Intensivista, Timeoutintensiva.it


26 luglio 2010
 



www.timeoutintensiva.it, N° 13, Aprile 2010, Focus



Download del file in .pdf


Ci sono voluti parecchi anni per capire che Medicina Critica non è soltanto una storia di successi  , di spettacolare tecnologia, di Medicina Innovativa, ma  le ICU sono anche il posto in cui avviene la morte.

 E allora la domanda da porsi è: prestiamo abbastanza attenzione al modo in cui i nostri pazienti stanno morendo, dopo che i nostri migliori trattamenti alla fine sono falliti? Ci prendiamo cura dei familiari, siamo capaci di aiutarli?

Le prime iniziative sono giunte dagli USA. In un articolo lungimirante pubblicato nel NEJM nel 1976   da Henning Pontoppidan propose una classificazione delle terapie basata sulla prognosi del paziente, in 4 classi:

A: massimo della terapia senza alcuna restrizione

B: massimo della terapia con rivalutazione quotidiana

C. limitazione selettiva delle terapie salvavita

D: Interruzione di tutte le terapie.

Successivamente sempre negli USA, il dibattito , si focalizzò sul “terminal weaning” , termine coniato da Ake Grenvik nel 1983 quando descrive il modo di ridurre gradualmente tutti i parametri respiratori finchè non arriva la morte.

Inizialmente, tutte le discussioni sul sospendere o non intraprendere le misure di sostegno vitale sembravano essere guidate principalmente dall’idea che la maggior parte dei supporti ICU alla fine della vita fossero “ futili”, visti come uno spreco di risorse preziose e limitate.

Infine un documento congiunto delle 2 più autorevoli  corporazioni professionali: la Society of Intensive Care ( SCCM) nel 1990 e l’American Thoracic Society (ATS) nel 1991 trasmetteva 2  messaggi basilari:

-primo, agli Intensivisti dovrebbe essere permesso di interrompere trattamenti inutili quando giudicati futili;

- secondo, il paziente o il suo rappresentante è la fonte dell’autorizzazione.

La situazione è certamente diversa in Europa. Questi problemi  sono stati discussi apertamente solo recentemente. La prima posizione ufficiale dell’ESICM è stata pubblicata  nel 2004, riassumendo una consensus conference svoltasi nell’aprile del 2003.  Il divario più ampio fra Europa e USA riguarda le decisioni da prendere in ICU quando il paziente non è in grado di esprimere il proprio volere ( è incompetente). Mentre nel Nord America l’autorità di prendere decisioni al posto di pazienti incompetenti  rimane dei familiari o dei conviventi (Critical Care Society 1990), in Europa  si ritiene che i clinici abbiano l’ultima responsabilità di prendere decisioni in relazione alla “fine-vita” (Carlet et Al. 2004). Tuttavia i medici, da entrambi i lati dell’Atlantico, sembrano (sperano?) muoversi verso un modello di “decisione condivisa”,

Le Società Scientifiche Europee nel 2006 (BOLES) hanno emanato dichiarazioni condivise riguardo le decisioni di fine-vita :

v   Riconoscere la necessità di limitare i supporti vitali ICU, in determinate situazioni cliniche.

v   Dare frequenti informazioni ai familiari.

v   Consenso fra medici e paramedici.

v   Relazione della discussione/decisione sulla cartella medica

v   Le decisioni sulla fine-vita sono responsabilità del medico.

v   Applicazione di strategie con cure palliative.

v   Fare chiarezza sulla differenza tra astenersi dall’inserire supporti vitali ed eutanasia.

Parallelamente alla stesura di regole condivise e linee guida, gli Intensivisti Europei hanno sondato il proprio modo di comportarsi riguardo le strategie di fine vita. Vi è un ovvio gradiente tra i paesi più a Nord e quelli più a Sud: vengono prese più decisioni di fine vita in UK e Scandinavia che in Spagna o in Italia. In Spagna queste decisioni sono documentate nel 37% delle morti, come riferito da Esteban ed AL.( 2001) e molto meno il Italia dove la percentuale è solo del 10% in Lombardia ( Giannini ed Al. 2003).

Sono stati intrapresi parecchi studi :  La differenza tra nord e sud Europa riguardo alle decisioni di fine-vita è stata ulteriormente documentata e si osserva che la religione dei medici curanti è una delle principali cause di questa differenza, seguita dal retroterra culturale e spirituale.

Un ulteriore aspetto critico è legato al fatto che cure intensive, decisioni di fine vita e giustizia non sempre combaciano. Una questione trattata dall’International Consensus Conference ( Carnet ed Al. 2004) fu il problema delle implicazioni legali in relazione alle decisioni di fine-vita nei paesi Europei.

 La dichiarazione finale della Conference fu: “ pratiche mediche ampiamente accettate nelle procedure di fine-vita possono non essere sostenute dai tribunali, e una quantità significativa di Intensivisti riconosce che la preoccupazione di eventuali vertenze influenza le loro decisioni sulle limitazioni terapeutiche”.  Purtroppo le legislazioni nazionali non prendono in considerazione le situazioni specifiche delle TI:  sospendere la ventilazione meccanica può essere considerato omicidio e il medico può essere denunciato. Nel recente caso Welby, in Italia, il giudice non ha dato il consenso all’interruzione della ventilazione meccanica, contro il volere del paziente, malgrado la legge italiana condanni “l’accanimento terapeutico”. Nel Regno Unito la legge ha cercato di affrontare il problema nella maniera più appropriata e pertinente. A Londra la corte rifiutò al marito di Diane Pretty di interrompere attivamente la sua vita, malgrado lei sarebbe morta presto per una patologia neurologica degenerativa progressiva ed irreversibile, una decisione successivamente confermata dalla Corte di Strasburgo sui Diritti Umani. Ma lo stesso anno, la signora B ottenne la disconnessione dal ventilatore , contro il volere dei suoi medici curanti, perché, come disse la Corte,  “  un paziente competente ha il diritto di rifiutare i trattamenti medici per qualsiasi ragione, razionale o irrazionale, o senza alcuna ragione affatto, anche se questa decisione può portarlo a morte”.

-Per tornare al versante etico

La principale controversia  , in relazione alla partecipazione dei  familiari nelle decisioni di fine vita ,contrappone il concetto di Autonomia in cui la decisione porta i familiari ad essere visti come sostituti e Paternalismo in cui i medici sono visti come gli unici depositari della decisione.

Attualmente,nell’ottica di promuovere cure centrate sulla famiglia,  sta crescendo il modello di operare decisioni condivise, equilibrando il diritto dei familiari a decidere e il loro bisogno di essere accuditi e confortati .

In uno studio effettuato in 6 ICU canadesi riguardante 243 familiari di pazienti morenti, fu descritta una ampia varietà di atteggiamenti dei familiari sul desiderio di essere coinvolti nel prendere decisioni in prossimità della fine della vita. L’8.4% preferi’ lasciare ogni decisione ai medici,   l’1.2%, preferirono prendere la decisione da soli, gli altri assunsero posizioni intermedie.

In definitiva possiamo affermare che tutti gli studi evidenziano l’esigenza di scelte condivise che porta a focalizzare l’attenzione sul concetto di cure centrate sulla famiglia .In questa ottica la comunicazione assume un ruolo  fondamentale  secondo un modello di  flusso informativo reciproco che consente ai curanti di somministrare  cure adeguate ai desideri del paziente e dei suoi parenti,

COMUNICAZIONE

L’argomento è complesso perché la comunicazione coi familiari si configura come un vero lavoro di equipe.

In uno studio descrittivo che utilizzava un questionario  ,Heyland ha trovato un più alto grado di soddisfazione dei parenti nel rapporto con gli infermieri piuttosto che con i medici. Questo risultato sottolinea l’importanza del coinvolgimento degli infermieri nella comunicazione . Anche i giovani medici devono essere coinvolti nella comunicazione con i familiari. In un altro studio prospettico multicentrico randomizzato 220 familiari di pazienti di 11 ICU francesi ricevettero informazioni da medici giovani ed anziani. Nessuna differenza fu riscontrata tra i familiari riguardo la comprensione, la soddisfazione o l’incidenza di ansietà o depressione. Tuttavia alcuni dati suggeriscono che cultura,  valori personali e diversa formazione influenzano la capacità di comunicare.

Chiunque sia a comunicare coi familiari in ICU , il punto più importante sembra essere la coerenza dell’informazione fornita ai familiari dai differenti curanti .

Si fa strada l’idea di coinvolgere i parenti introducendo la” FAMILY CONFERENCE” :

cioè organizzando, in prossimità della fine-vita,  incontri strutturati che  comprendono i curanti e i membri della famiglia.

Si dovrebbero utilizzare i seguenti suggerimenti per organizzare una conference, riassumibile in una struttura prima-durante-dopo.

Ø    preparare il team( dati aggiornati sui pazienti e i parenti, soluzione di eventuali conflitti all’interno del team, valutazione psicologica), preparare la famiglia ( valutazione della conoscenza della famiglia, identificazione di eventuali conflitti team-famiglia), preparazione dell’incontro ( luogo, tempi e fissare gli appuntamenti).

Ø   Preparare una scaletta che include una breve introduzione ( presentazione di tutti i partecipanti presenti all’incontro, rassicurazione e creazione di un clima di fiducia), discussione circa le condizioni del paziente( comprese diagnosi e prognosi) e il trattamento ( compresi gli scopi della cura, potenziale passaggio dalle cure al prendersi cura e sospensione o astensione da trattamenti futili), discussione sulle preferenze del paziente, valori ed opinioni. Le capacità di comunicazione terapeutica dovrebbero essere usate( con riflessione e pause, permettendo ai familiari di parlare, di porre domande, di esprimere le loro emozioni) , le trappole della non-comunicazione ( cattiva comunicazione) dovrebbero essere tenute a mente, dovrebbero essere evitati termini tecnici e spiegazioni dettagliate.

Ø   Alla fine della family conference i medici dovrebbero controllare che siano stati soddisfatti i bisogni dei parenti, e quindi riassumere i punti principali e il piano successivo( eventi attesi, l’incontro successivo), confermando la disponibilità degli operatori di TI .

Sono state individuate BARRIERE, che possono diventare OPPORTUNITA’di miglioramento, PER COMUNICARE COI FAMILIARI DI UN PAZIENTE MORENTE IN ICU :

FORMAZIONE  dei clinici nella comunicazione e cure fine-vita

L’insufficiente capacità dei clinici a comunicare è probabilmente la principale  spiegazione della scarsa comunicazione coi familiari di pazienti morenti ma è anche l’elemento chiave per il suo miglioramento.

COMUNICAZIONE INTERDISCIPLINARE dentro il team ICU

Cura interdisciplinare, specialmente la collaborazione tra medici ed infermieri, è un componente centrale sia della Medicina Critica che della Medicina Palliativa . Tuttavia questo approccio è molto limitato in molte ICU, specie dei paesi del sud Europa dove gli infermieri sono meno coinvolti nelle decisioni di fine-vita rispetto ai paesi del nord America. Differenze nel retroterra culturale, sistema sanitario nazionale  possono spiegare la mancanza di un approccio multidisciplinare nelle cure di fine-vita, portando ad una giustapposizione di curanti (Lavoro parallelo senza incontro), a una frammentazione delle cure prestate e ad una distorsione delle informazioni.

DIFFERENZE LINGUISTICHE E CONTESTO CULTURALE: in alcune realtà le differenze linguistiche rappresentano, nella pratica quotidiana, il maggior ostacolo alla comunicazione tra familiari e curanti, specie nel processo decisionale che porta alla decisione di sospendere i trattamenti intensivi e intraprendere le cure di fine-vita.

Sembra meno ovvio rispetto alle barriere linguistiche , ma anche le differenze culturali possono essere un ostacolo alla comunicazione tra famiglie e professionisti ICU che possono avere un diverso retroterra culturale e diversi principi etici.  Anche il retroterra culturale e spirituale dei curanti interferisce nelle decisionidi fine-vita.

Infine la differenza di conoscenze mediche tra familiari e curanti ICU rappresenta un altro ostacolo alla comunicazione , perfino nello stesso contesto culturale.

La mancanza di conoscenze sulle Emergenze, sulla Rianimazione, e sull’ambiente ICU presso il pubblico in generale da un lato determina aspettative inadeguate, perfino non realistiche sulla tecnologia ICU, dall’altro porta a una sempre più grande differenza tra ciò che i familiari immaginano e quella che è la reale pratica quotidiana degli operatori ICU. Più informazioni e una migliore educazione del pubblico su possibilità e limiti della Medicina Critica può aiutare a superare questo gap e facilitare la discussione sulle decisioni di fine-vita .

MANCANZA DI TEMPO DEDICATO ALLA COMUNICAZIONE

La mancanza di tempo è vista come la principale barriera alla comunicazione dagli operatori di TI, sia medici che infermieri. Il cambiamento nella mentalità e nelle attitudini dei curanti ICU è il punto critico. Oggi è cresciuto il concetto di comunicazione coi familiari attraverso cure “centrate sulla famiglia”, e il tempo dedicato ad essa è ormai importante nella pratica quotidiana. L o sviluppo delle family conferences in prossimità delle decisioni di fine-vita ha incrementato il tempo assegnato alla comunicazione. Per questo,  la comunicazione con i familiari non è più vista come un compito compassionevole, facoltativo ma come una responsabilità necessaria del team ICU.

Infine, dal momento che sia i familiari che i curanti chiedono più tempo per comunicare fra di loro, un’altra possibilità di facilitare questa interazione potrebbe essere aumentare il tempo di visita in ICU. In accordo con i principi di cura centrata sulla famiglia, le politiche di visite “open” permettono alle famiglie di spendere più tempo con i propri cari malati e si pensa accrescano la soddisfazione dei familiari. Tuttavia, queste politiche sono attualmente oggetto di dibattito e usate in maniera variabile presso le ICU dei vari Paesi.

Si è visto che queste politiche possono danneggiare la qualità del rapporto tra team e familiari se i parenti sono vissuti dagli infermieri come ostacoli al loro lavoro quotidiano.

Qualsiasi sia la politica dell’Unità operativa sulle visite, questa comunicazione deve essere organizzata con visite che si ripetano nelle 24 h, almeno per i parenti di pazienti morenti, e con family conferences regolari e intensive.

CONCLUSIONI

La comunicazione con le famiglie è stata considerata un importante progresso negli ultimi 25 anni. I familiari non sono più considerati come semplici visitatori in ICU e comunicare con loro è  un compito interamente affidato agli operatori di TI. Supportare efficacemente le strategie di comunicazione intensiva, attraverso family conferences e brochure  informative, è fondamentale per migliorare la comunicazione con essi. Quindi, la comunicazione coi familiari in ICU ha conquistato credibilità scientifica e oggigiorno è considerata un obiettivo prioritario per raggiungere l’eccellenza nelle cure di fine-vita in ICU.

Il Dibattito si articola in due articoli sempre in FOCUS

Il primo:

Fine Vita: CHI DECIDE, COME ? Prima Tranche di discussione tra gli intervenuti

       Il secondo:

Fine Vita: ALTRE REALTA’ FUORI DALLA TERAPIA INTENSIVA, Seconda ed Ultima Tranche di discussione

In Racconti a Margine trovate i racconti narrati durante l’introduzione al dibattito:

L’ALLEANZA DI CURA ED ALTRO RACCONTO

di M.Francesca Sapuppo

“L’UNICA POSSIBILITÀ DI SALVARSI”

Di M.Francesca Sapuppo

“LEI DETENUTA NEL SUO CORPO”

Di M.Francesca Sapuppo

Buona Lettura. 


 
 
 
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