numero 14
26 luglio 2010
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40 metri di fedeltà
di S.Vasta
racconto


Era stata come sempre una corsa all'incontrario, rimandarli sotto da dove erano venuti.

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Si erano presentati in ospedale dopo il tramonto, con i costumi bagnati ancora addosso e accappatoi buttati sulle spalle, tenendosi per mano come adesso; due ragazzi a guardarli, sposini freschi dalle fedi brillanti. Lei minuta e con grandi occhi verde sognante, lui magro con gli occhiali e serio; lei che non riusciva bene a muovere nè il braccio nè la mano sinistra, lui che zoppicava, per una gamba che "non lo aiutava", come ripeteva. Erano risaliti "a razzo" dai quaranta metri di profondità nei quali s'erano persi, senza rispettare le soste di decompressione; ...sì, erano scesi con le bombole... la miscela forse aria o ossigeno...  principianti anche nel linguaggio. Così eccoci qui a metà della notte. Io a guardarli, in quella discesa a profondità virtuale, chiusi dentro la Camera Iperbarica, che come battiscafo in terraferma, recupera alla cura le malattie da fondo abbandonato in fretta.



Ci vollero tre giorni di sedute mattina e pomeriggio per credere in un miglioramento dell'embolia che li aveva colti, dopo una prima regressione repentina dei sintomi, che è la magia della camera. Li vedi entrare, spesso paralizzati gravemente, e dopo un po' che li rimandi, con quell'ascensore d'acciaio, ad una profondita' vicina a quella da cui arrivano, ti accorgi che già alla fine del primo trattamento stanno meglio, con i sintomi che arretrano. Era quella rapidità nella ripresa, quella magia che vedeva arti plegici, dopo alcune ore, di gìà accennare a movimenti, che mi aveva sempre affascinato.

Ma quei due sposi bambini...

L'amore a volte rende ciechi e quella coppia, cieca al mondo tranne che per i loro occhi sempre gli uni negli altri, mesi addietro si era iscritta ad un breve corso di diving; e mentre erano giù, tenendosi per mano a guardarsi nelle maschere, seduti al fondo dei 5 metri di piscina a scaricare bolle, innamorati com'erano, proprio lì avevano deciso di sposarsi; ma come spesso accade, tra i mille impegni che causa preparare un matrimonio, l'esperienza breve ed in mare l'avevano fatta correndo; e pensando non al momento del loro prossimo sì, ma a quando, per viaggio di nozze, sarebbero venuti sull'isola meravigliosa. Il sì all'unione sarebbe stato un sì definitivo solo su quell'isola, perla calda e nera di vulcano, dentro il suo mare, e solo a quaranta metri di profondità; dove si sarebbero scambiati, ripetendone il gesto, gli anelli, per legarsi e per sempre. Muti e soli nel silenzio di un abisso; e solo allora il loro amore sarebbe stato eterno profondo e blu. L'amore fa volare la mente il cuore, rende leggeri, da sentirsi senza peso dove ce ne vorrebbe di più, e peso di giudizio, non di carne;  barriere, traguardi, diventano un invito a superarli, al "tutto è possibile se ami". Anche i quaranta metri, scelti a caso, dopo i cinque in piscina.

E allora giù! Giù con l'aereo sino al terminal dell'isola, giù dall'aereoporto al resort col pulmino, giù dalla stanza alla scogliera, e finalmente giù in acqua tra le bolle! Un'acqua fresca e sconosciuta, gli anelli al collo legati con un laccio, il sole quasi all'orizzonte, il profondimetro, aggeggio tecnologico infallibile, stretto al polso, il respiro nelle bombole. Appena 24 ore prima in chiesa a dirsi sì per sempre, ed ora al fondo, sconosciuto e misterioso, per sentirlo, quel per sempre, sulla pelle, intanando le loro dita negli anelli.

Dopo un primo giocare a nascondino tra le rocce, in quella loro casa delle bambole dal soffitto indaco lucente, si ritrovarono a guardarsi lontani, sempre più lontani da quel tetto di vetro liquido; ed ai 40, già oltre l'imbrunire, stanchi, disorientati dal grigio fosco intorno, dal freddo inaspettato, mani e occhi che non si ritrovavano, iniziarono a tremare; nella paura nera in cui erano immersi, senza confini a cui aggrapparsi, d'improvviso lei si sentì toccare. Da qualcuno o da qualcosa, non sapeva. Si scostò terrorizzata, perse l'orientamento. Il gridò liquido che sputò fuori col boccaglio, uscì afono nell'acqua; bevve per ripeterlo, tossi violentemente e forse svenne; poi sentì le braccia di lui sorreggerla, respirò a lungo dal boccaglio ritrovato, si riprese, ed in un lampo risalivano; dopo un poco che i piedi già toccavano, si sedettero all'asciutto sulle rocce della riva. In salvo. Piangendo lacrime di sale.

Fuori il buio...”ma non c'era ancora il sole quando siamo scesi ?” .... Quanto tempo siamo rimasti sotto ?... a questa domanda, non seppero mai rispondere, ma le bombole erano quasi vuote ad un esame successivo.

Passarono così dai quaranta metri di paura in mare ai 30 della camera lì piantata in terra, lei con una mano ed un braccio inservibili, e lui, che portava le due fedi splendenti al suo anulare, zoppicando alquanto con la gamba.

Così invece che tra i flutti, la loro luna di miele fu quei 7 lunghi giorni d'ospedale tra la camera iperbarica e la stanza di ricovero e altri cinque tra la Camera e l'albergo. Ormai stavano bene, nessun segno o complicanza e qualche altro giorno ancora per godersela.

Li rincontrai una sera a cena, in uno dei migliori ristoranti lì sull'isola. Oramai erano quasi di famiglia; a guardarli ridere tra loro ed ammiccare, capivo anche quel loro giuramento; patto di sangue tentato al fondo del proprio abisso, col mare intorno come scudo liquido, difesa di due solitudini che tentano di farsi una. Due cerchi impenetrabili e divisi, che il mago dell'amore, con un gesto ed un "voilà", voleva incatenare in un'unione. Eterna come la pretendevano, ma come può essere solo la morte che avevano sfiorato.

Pantelleria, 18 Agosto 2007
Rev. Marzo 2009


 
 
 
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