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N° 13, Aprile 2009, Racconti a Margine
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Dal seminario “Le decisioni di fine vita: le dimensioni cliniche, le
questioni etiche”, svoltosi nell’ambito del Master “Offerte dei servizi
sanitari, comunicazione e bisogni dei cittadini: l’Umanizzazione per la tutela
della salute” (Direttori C.Muscarnera e F.Prandi, Tutor D.Falconeri, I.Parenti,
Responsabile del
Seminario Assunta Tolentino),
svoltosi il 19 novembre 2009, presso il Centro di Formazione Cefpas di
Caltanissetta.
Quando vedo questi vecchietti attraversare la porta
della Rianimazione mi viene lo strazio al cuore, ma parliamone insieme.
Vecchietti sono per me coloro che hanno superato tanti
e tanti anni ed hanno già un‘età accettabile (se così si può dire) anche per
morire. Non lasciano figli piccini ma figli molto grandi, che aspettano la
separazione dai genitori come un evento atteso, impossibile da procrastinare
perché la natura ci ha anche dato una scadenza.
I vecchietti non sono tutti uguali.
Coloro che, come la vecchietta di cui vi sto per
raccontare, superano i novanta anni,
in genere hanno avuto una vita robusta per arrivarci a quella età: poche
malattie, pochi dottori , quasi mai ospedali, quasi sempre quasi sani fino a “quel
momento”. Infatti non vi è parente
che non rimanga stupito: “stava benissimo…ieri aveva mangiato le lasagne…aveva
lavato le tende…era andata a messa”…fa tutto da sola”. Ne vedi poi la TAC
encefalo e non vi è spazio che non abbia subito un insulto ischemico nel corso
di tutti questi anni, anche se ben compensato dall’ignara proprietaria della
TAC. Ed allora i parenti ricordano che dimenticava le cose, che una volta si
era perduta, che si addormentava facilmente, che si lamentava di vertigini e che le si offuscava ogni
tanto la vista, ma sono “cose della età”.
La vecchietta di più di novanta anni arriva in
elicottero da una delle tante isole che circondano la nostra isola, il suo
corpo è un involucro stropicciato di se stesso, non vi è angolo che non abbia
una ruga e la pelle cade sui piani
sottostanti senza nessun sostegno. Le ”ossicine” piccole piccole rannicchiate
su se stesse erose dall’osteoporosi
l’ hanno resa più piccola di quanto già doveva essere guardando e paragonandola ai suoi familiari di bassa statura.
Sicuramente però doveva avere ancora una vita attiva perché ha una pelle
colorata dal nostro sole estivo e una muscolatura trofica per la sua età.
Purtroppo un ictus (un colpo come si usa dire dalle
nostre parti) l’ha paralizzata a metà,
l’ha mandata in coma, non l’ha fatta più respirare e sarebbe morta tra
il pianto e la rassegnazione dei parenti, le condoglianze di tutto il paese, la
messa funebre di un parroco che l’avrebbe riportata alla casa di Dio, ed invece
no! Sulla sua strada un Medico solerte le pone un tubo in gola per riventilare
i polmoni e ne consiglia l’immediato ricovero in Rianimazione, dove vi può
essere “l’unica possibilità di salvarsi”.
Trasporto in elicottero e via!!! Ma via dove? In “un
non luogo”, la Rianimazione, dove si attacca ad un ventilatore e non si sa che
fare con una ischemia cerebrale così vasta. Eppure stava bene, aveva avuto una
buona vita, ora si appresta ad avere una brutta e lunga morte.
I parenti che avevano già chiesto a quel Medico se era
meglio lasciarla stare, non capiscono più niente quando si dice loro che la
Rianimazione non può fare ciò che a loro è stato promesso, darle l’unica
possibilità di salvarsi.
Si prospetta loro solo incertezza, “non si può sapere
quanto durerà, non sappiamo se si sveglierà ma è molto improbabile, potrebbero
sovrapporsi altre complicanze legate a questa vita artificiale data dalle
macchine”. Passano i giorni e
niente si modifica, solo complicanze previste ed impreviste, e sempre la
domanda dei parenti: “la possiamo portare a casa?”. Sempre la nostra
ambivalenza, che fare? Trattare, non trattare, che farei ad un mio parente? Ma
come si fa a staccarla dal respiratore, sarebbe un non accanimento o verrebbe
considerata un’eutanasia? E come la potrebbero portare a casa, in aliscafo, in
aereo?
Un tempo forse sarebbe stato più facile decidere. I
parenti non denunciavano anche per delle morti annunciate di novanta anni, ma
adesso lo fanno. Un tempo la
politica non voleva decretare per legge il prolungamento delle sofferenze per
tutti. Un tempo i parenti erano moralmente i depositari delle decisioni. Un
tempo la mano di quel Medico si sarebbe fermata ma ora la Medicina difensiva è
la norma. Un tempo il non prolungare le sofferenze, il non accanimento, era
considerato normale, adesso viene prospettato come accelerazione del processo
di morte (ma non è già avviato?).
Ma questo era un tempo.
Ora la pietà esiste ancora, nei nostri discorsi di
Rianimatori che non sappiamo che fare di fronte a queste sofferenze di
pazienti, parenti e di noi stessi che soffriamo le sofferenze degli altri, nei
gesti di cura dei nostri Infermieri, negli sguardi dei familiari ma la rianimazione, tecnica salvifica per
tanti esseri umani, in questi casi è senza pietà.
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