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26 luglio 2010
Diario Di Un addio
Pietro Scarnera
 
2010 Comma 22

Scheda Libro

I cinque anni vissuti dall\'autore accanto al padre, in stato vegetativo dal 2003 al 2008, diventano in questo libro una testimonianza, pensata per “far vedere” al mondo esterno come vive una persona in condizioni così critiche. Ma la testimonianza, in corso di lavorazione, si è trasformata in racconto. Le corsie e le stanze d\'ospedale, gli oggetti e le regole della vita in una clinica, la presenza sibillina dei dottori fanno da sfondo al tentativo del figlio di relazionarsi con il padre, diventato ormai una persona diversa e “irriconoscibile”, e di difendersi da una realtà che rischia di travolgere tutto. A un primo momento di speranza seguono la disillusione e i giorni sempre uguali della vita d\'ospedale. Un tempo sospeso, in cui si conduce una battaglia silenziosa per salvare, almeno nella memoria, l\'immagine di quel padre com\'era una volta. Con postfazione di B. Englaro e F. de Nigris

 

 

Intervista all’autore

Diario di un addio è il titolo del libro con cui Pietro ha vinto la selezione 2009 del concorso per giovani disegnatori dell’Emilia Romagna legato al Festival Komikazen.

Il giovane autore bolognese ha voluto raccontare i cinque anni vissuti accanto al padre, in stato vegetativo: un’esperienza dolorosa realizzata con l’intento di mostrare una realtà difficile da immaginare. Abbiamo incontrato l’autore che ci ha spiegato del perché di questa scelta.

Con “Diario di un addio” hai vinto il premio Komikazen 2009: Perché hai deciso di realizzare un fumetto su questa esperienza personale così dolorosa?

L’esigenza di raccontare la storia di mio padre, e le cose che ho visto stando accanto a lui, è nata in seguito alle polemiche sul caso di Eluana Englaro. Mi sembrava che quasi tutti parlassero a sproposito, senza conoscere davvero l’argomento. In particolare mi sembrava evidente che tutti avevano in testa un’immagine falsata del coma e dello stato vegetativo, che poi è quella che vediamo tutti i giorni in tv o al cinema: una persona che dorme, con un’aria pacifica e serena. Nei fatti le cose non stanno assolutamente così. Perché sullo stato vegetativo non c’è un’informazione corretta. Nonostante tutto il clamore mediatico, pochissimi hanno spiegato come vive una persona in queste condizioni. Io ho scelto di farlo con il fumetto perché volevo far vedere le cose: le espressioni del volto, le trasformazioni del corpo, le apparecchiature mediche e le stanze d’ospedale. È una realtà così difficile da immaginare che secondo me la parola scritta da sola non poteva bastare. Allo stesso tempo le fotografie e i video sono troppo invasivi, e a mio parere sono una violazione della dignità di chi non è in grado di esprimere la propria volontà.

Nel volume ci sono anche le postfazioni di Beppino Englaro e Fulvio de Nigris: attraverso il tuo lavoro qual è il messaggio che vuoi trasmettere?

Volevo che il mio libro fosse una base per una discussione seria sullo stato vegetativo e sulle scelte etiche che vi ruotano attorno. Ovviamente la mia è solo una delle storie possibili, ma noto che da qualche tempo le testimonianze dei familiari sono più numerose. È un fatto positivo, perché solo chi ha vissuto un’esperienza di questo tipo può raccontarla.  Beppino Englaro e Fulvio De Nigris rientrano entrambi in questa categoria, e sono persone che stimo moltissimo. Anche se hanno opinioni opposte. Volevo che spiegassero le rispettive posizioni, mettendo da parte almeno per una volta le polemiche. Per quanto riguarda il messaggio, nel mio libro io volutamente non prendo posizione, proprio perché non voglio influenzare in nessun modo il lettore. Penso che ognuno debba essere libero di scegliere, a patto che la scelta sia consapevole, informata e non dipenda da fattori esterni come la scarsa assistenza sanitaria o le

difficoltà economiche.

E’ difficile raccontare in un numero limitato di pagine i lunghi anni vissuti accanto a tuo padre: credi di essere riuscito a trasmettere quella sensazione di tempo sospeso a cui fai cenno nel libro?

Non saprei se ci sono riuscito… però vorrei dire che l’obiettivo principale non era quello. Era più importante raccontare la storia in tutto il suo svolgimento, dalla rianimazione ai primi mesi di speranza, fino alla routine della vita in clinica.

Perché hai deciso di illustrare questa storia con uno stile grafico così essenziale e poco realistico?

Bé, io sono un autodidatta e mi rendo conto che il mio modo di disegnare è ancora molto acerbo. Per questo libro però mi sembrava anche funzionale: un po’ perché è il racconto di un figlio, un po’ perché non volevo disegnare in modo realistico mio padre. Sempre per il discorso di non offendere queste persone, per mantenere un certo grado di pudore. Questa poi è diventata una delle chiavi del racconto: la sensazione di non riconoscere mio padre, che ho avuto fin dal primo giorno in rianimazione, è stata resa anche graficamente. Mio padre in coma è disegnato in un modo, mio padre come lo ricordo io è disegnato in un altro.

 

 

da “Pietro Scarnera, il peso di un addio” – www.LoSpazioBianco.it | LoSpazioBianco 02/11/10 19:07 http://www.lospaziobianco.it/?p=19407. Riduzione a cura di S.V.

 

Riferimenti:

Pietro Scarnera, il blog: pensieridieri.blogspot.com

Komikazen, festival del fumetto di realtà: www.komikazenfestival.org

Comma 22: http://www.comma22.com/index.php/catalogo/prodotto/nome/Diario+di+un+addio/id/116

Comma 22 Sfoglia il Libro: http://www.comma22.com/index.php/sfoglia/prodotto/id/116/titolo/Diario+di+un+addio

Booktrailer: http://www.youtube.com/watch?v=JmHp0m58f7w

 

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18/12/2010



 
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