numero 14
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26 luglio 2010
Ricordi dal sottosuolo
F.Dostoevskij
recensione di
Rossella Delisi

 
 

Ai limiti della libertà.
Riflessioni su ‘I ricordi dal sottosuolo’ di Fëdor Dostoevskij

«Ci sono, fra i ricordi d’ogni uomo, cose che non si raccontano a tutti, ma appena agli amici. Ce ne sono altre che neanche agli amici si raccontano, ma appena a se stessi, e per di più sotto suggello di segreto. Ce ne sono, infine, altri ancora che persino a se stessi si ha paura di raccontare, e di tali ricordi ogni uomo anche ammodo ne mette insieme parecchi» .

I Ricordi dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskij furono pubblicati per la prima volta nel 1864 sulle pagine della rivista Epocha (Epoca). Si tratta di un’opera non facile, controversa, scritta a mo’ di confessione (sebbene non sia un documento personale), per riuscire più immediata, esplicita, se pur oscuramente esplicita. Ed è proprio questo particolare carattere che seduce il lettore moderno, attratto dalla materia che informa i Ricordi e, ancor di più, dall’originalissimo stile che li contraddistingue. Uno stile a tratti convulso, volutamente contorto, saturo di pause ritmiche che frantumano l’impetuosità torrenziale del periodare, ma di indubbio fascino artistico.
Abbandonati gli ideali dell’umanitarismo filantropico e del socialismo utopistico che avevano ispirato opere quali Povera gente, Ricordi di una casa di morti e Umiliati e Offesi, con i Ricordi dal sottosuolo Dostoevskij intraprende un nuovo itinerario artistico e spirituale che mira alla scoperta delle zone più recondite dell’Io. Egli, nel desiderio di analizzare l’inconscio, tenta un primo approccio a quell’universo psicologico in cui l’essere umano, spogliato di ogni maschera e di ogni ipocrita menzogna, si ritrova solo con se stesso, al centro di una libertà senza limiti.
Dinanzi a questa delirante libertà che impone all’essere di rivelarsi fino in fondo, l’individuo prova un irrefrenabile senso di inquietudine e sconforto. Nulla più gli appare regolato da quelle categorie mentali in cui l’ordine costituito delle cose trova una sua logica espressione, e tutto diviene caos e paradosso. La scoperta del sottosuolo è per Dostoevskij occasione unica per rivelare l’uomo nella sua paradossale nudità. L’autore svela l’Io al ‘sé’ inconscio e, nel rappresentare l’integrità contraddittoria e complessa dell’individuo, si cimenta nell’arduo compito di porre il proprio eroe “oltre ogni limite” fino all’estremizzazione massima di se stesso. Non a caso i Ricordi dal Sottosuolo rappresenteranno nella poetica del grande romanziere russo la chiave di volta delle sue concezioni estetico-filosofiche.
Egli, infatti, seppe dar vita ad un personaggio nuovo e senza precedenti nella storia della letteratura europea, aprendo le porte a quella numerosa schiera di eroi negativi, o anti-eroi, che da lì a qualche decennio avrebbero reso celebri tante pagine della narrativa moderna. Questa figura ambigua, paradossale, priva di un’identità propria si rivela incapace di trovare una consistenza sociale e psicologica all’interno della collettività cui appartiene e nella quale è costretta a muovere la propria esistenza. Escluso e posto ai margini della collettività, l’Io, spogliato della propria identità sociale, è estremizzato verso torve nevrosi e ossessive follie o votato artificiosamente verso le alte e sublimi vette dell’incanto estetico e della bellezza, dei tanti “personaggi-vittima” che affollano le opere di autori quali Kafka, Rikle, Svevo, Huysmans, Wilde, Hofmannsthal e Musil.
Nelle pagine più mature di Dostoevskij, la presa di coscienza dei baratri dell’Io consentirà al Nostro di penetrare l’intricato universo psicologico dell’uomo, da cui prenderanno vita quella straordinaria serie di complessi caratteri umani magistralmente rappresentati nei grandi romanzi quali Delitto e Castigo, l’Idiota, I demoni, l’Adolescente e I fratelli Karamazov. La modernità emotiva di Dotsoevskij saprà esprimersi ben oltre la condizione di esasperato déracinement dell’anti-eroe nel mondo, trovando una ragion d’essere anche e soprattutto in termini puramente stilistici, proclamando nella cerebrale dialettica dell’uomo sotterraneo “una sorta di mistica dell’anti-parola”.
Nell’essere del sottosuolo, infatti, l’impeto irruente di una parola tanto scostante quanto avvolgente, che pare dilatarsi e sfumare in un’indomabile frenesia di versi e di atti mancati nell’indistinta e mobile realtà circostante, riempie di un incontenibile sgomento l’esistenza dell’uomo moderno che vede dileguare ogni certezza e stabilità nelle oscurità caliginose della propria coscienza. E la parola, messaggera delle riposte risonanze dell’Io, si proietta e si espande affannosa in quella muta desolazione che è luce e ombra, chiarezza e mistero, estasi e orrore, tentando una via di mediazione che, nell’evento sinergetico della creazione, riveli i meandri insondabili e oscuri alla radice dell’essere. L’esperienza creativa dell’uomo del sottosuolo, se colma provvisoriamente il vuoto esistenziale che lo attanaglia, non risolve i paradossali scompensi della propria psiche dissociata, rivelando così a pieno la fallimentare mediazione della parola nel rapporto disgiunto fra l’Io e il mondo. Questa straordinaria intuizione estetica trasparirà dalle pagine conclusive dei Ricordi dal Sottosuolo e altrove volgeranno gli interrogativi esistenziali e le esigenze artistiche del sommo romanziere russo che lascerà ad altri il compito di portare fino alle estreme conseguenze le intuitive premesse estetiche svelate nel proprio personaggio.


Il Sottosuolo e il paradosso dell’Io.

Ma che cos’è il Sottosuolo? Il Sottosuolo è l’oscurità come presagio di morte che inibisce la creazione, ma non nega la parola che dal nulla si forma; è il gusto sadico di una coscienza che si esplica senza conferma e s’agita e si dimena in una frenesia di parole inespresse, di azioni incompiute, ma lungamente attese, ripetute, rimuginate fino allo spasimo, bramate fino all’irreale illogica menzogna; è il piacere di una mente malata che si macera in un attentare continuo alla stabilità e all’organicità dell’esistenza. In questo caos di voci e di immagini sommerse e oscurate da un profondo silenzio, brancola, accecato da una libertà senza limiti, l’essere che si scopre, d’improvviso, prigioniero nel sottosuolo della propria anima. «Egli è […] tra le mura improvvise e avvolgenti, la materia in quanto sentita della sua poesia non ancora materializzata; è il dire come sentimento che volge al dire come atto» .
Qui si esplica quella condizione di vita intesa come percezione del vuoto in cui l’Io rinchiuso fra le mura del silenzio che egli stesso s’è eretto intorno, si assolutizza in un irrazionalismo radicale, alla ricerca dei quella “vera realtà” che crede riposta nelle impervie vie dell’inconscio. Il suo ideale è ‘l’autenticità’ in quanto rivelazione del vero volto dell’uomo a dispetto «di tutte le spinte alienanti della così detta civiltà» . Rinnegando fredde ideologie razionalistiche e materialistiche, l’essere, rintanato nel sottosuolo della propria anima, si aliena in una solitudine infinita. In questa solitudine, che è presa di coscienza e percezione del dolore, l’Io affonda in uno stato di angosciosa a-normalità, vissuta come pretesa di assoluto e contrario di ogni logica preconcetta. Alla visione rassicurante della ragione, dunque, l’essere del sottosuolo, oppone le allucinazioni fantastiche della follia, ovvero «dell’arbitrio cabalistico e alogico» della coscienza sotterranea.
Sradicato da qualsiasi forma di vita stilizzata, incapace di realizzarsi nel concreto vissuto del quotidiano, l’essere dal sottosuolo avverte l’inutilità di un’esistenza spesa a languire nell’inerzia, alla ricerca di quella verità assoluta e ineffabile in cui tutto è antinomia e contraddizione. In questo scenario agghiacciante, quel sottosuolo agognato, vissuto e patito come unica formula possibile di vita, rivela ben presto il suo carattere oscuro, aleatorio, di non esistenza, di “dedalo ambiguo” dal quale l’Io più non ritorna. L’unica via che salva l’essere dall’oblio è l’evento creativo, l’atto che concretizza la parola avvertita ma non espressa, l’urlo violento e graffiante che irrompe dalle pieghe dell’anima e si spande e si dilata a spezzare il silenzio, a generare dal nulla ciò che non è ancora, ma che s’appressa a divenire nella poesia, materia d’arte.
Da qui, ha inizio la poetica del sottosuolo o, se si preferisce, la poetica dell’essere che per mezzo della parola, con lucidità spietata, si concretizza in un crudele gioco cerebrale in cui l’Io fruga nei meandri riposti della propria coscienza. È l’inconscio che si rivale dell’individuo, sull’Io che con la sua “coscienza raffinata” tutto pretende e si impone di intendere. Tale è la poetica dell’uomo malato di fine secolo che si maschera per un unico sommo ideale: la propria vanità.
Il desiderio d’arte che spinge l’essere alla parola confessata prima nel sottosuolo e narrata poi nei Ricordi, è l’anelito desiderato di chi, in fuga dalla realtà, tenta attraverso l’arte la sublimazione dell’Io. Il cinico e spietato gusto per l’autodenigrazione compiaciuta è quindi significativo della più totale libertà di rappresentare e rappresentarsi come un “antieroe” nel mondo che rinnega “gli imperativi categorici dell’utilità” imposti sulle cose e sugli uomini. Questo individuo ostile e riottoso non ha volto, non ha nome, egli è “pura voce”.
In questo dinamismo verbale ai limiti del paradosso, scaturito dagli abissi più profondi dell’Io, si insinua, sin dalle prime battute, la dialettica geniale dell’autore che conferisce alla parola quel valore instabile e mutevole di cui è intriso il mondo delle idee e del pensiero umano. «Sono un malato…Sono un malvagio. Sono un uomo odioso. Credo di aver male al fegato […]. No, non voglio curarmi per malvagità». L’epigrammaticità dell’esordio, scandito da un punteggiatura fitta e convulsa, rivela l’Io narrante che irrompe dalle buche profonde della propria coscienza e straripa nella parola con cui si identifica e nella quale cerca una dimensione d’essere. La malattia rappresenta per l’uomo del sottosuolo il segno tangibile del proprio disagio esistenziale che tramite la parola si esplica in tutta la sua convulsa drammaticità.
Nel ritmo incalzante e torrenziale della confessione, l’Io, scegliendo d’essere malato, fa della propria malattia oggetto d’ironia in cui si esprime il gusto sadico di uno spirito che ritorce su se stesso la propria incapacità di adattamento alle formule più o meno artificiose di vita quotidiana. E questa incapacità di adattamento si manifesta nella parola che, dal fondo della coscienza, sotto le stratificazioni fittizie dell’Io -raziocinante, tenta di violare le barriere del regno interiore e di portare alla luce quanto vi è di più tenebroso nell’essere, ovvero tutte le contraddizioni dell’Io e l’impenetrabile aporia dello spirito.
Opera artistica, dunque, sul genere della Icherzählung, i Ricordi dal Sottosuolo si compongono di due frammenti apparentemente indipendenti fra loro. Il primo, dal titolo il Sottosuolo, è una sorta di monologo interiore ove «il personaggio presenta se stesso, le sue idee, e sembra voler spiegare i motivi per cui è comparso e doveva comparire» in una società in cui non trova punti di riferimento nei quali riconoscersi; nel secondo frammento, invece, sono i Ricordi relativi ad alcuni momenti della vita di tale personaggio, accaduti circa un ventennio prima, che prendono vita, offrendo uno spaccato quanto mai scandaloso e sconcertante di un’esistenza distorta dall’angoscioso tormento cerebrale di chi è succube degli stadi morbosi della propria coscienza alienata.
Le elucubrazioni velenose che sprigiona la psiche contorta dell’uomo sotterraneo si riversano fra le pagine del Sottosuolo in “maniera febbrile”, provocatoria, in un aspro dialogo dalle affermazioni ciniche contro un avversario anonimo, quel ‘se’ che l’Io rinnega ostinatamente. In questa serie interminabile di violenti attacchi e proterve dichiarazioni che colorano di «impeti sinceri» e «smorfie istrionesche» si dipana la delirante confessione del protagonista a cui segue il testo dei Ricordi. L’inusitata crudeltà che distingue gli avvenimenti narrati nella seconda parte dell’opera, mette a nudo gli angoli più oscuri e umbratili dell’anima umana, svelando, attraverso la narrazione di alcune esperienze di quotidiana routine, come la coscienza sotterranea interferisca nei consueti rapporti fra gli individui e ne sconvolga totalmente gli equilibri.
L’opera ha termine con una serie di riflessioni in cui l’essere del sottosuolo si propone di far il punto sul significato della propria esistenza e nella presa di coscienza di aver fallito la propria vita «per solitaria depravazione morale» l’uomo sotterraneo potrà dire di se stesso «io invero non ho fatto altro, nella mia vita, che spingere agli estremi ciò che voi non osavate fare neanche a metà, stimando per giusta ragionevolezza la vostra vigliaccheria, e con questo inganno consolandovi […] Ma guardate dunque un po’ più in fondo! Noi non sappiamo neppure dove stia di casa la vita adesso, e che cosa sia e come si chiami […]. Presto inventeremo la maniera di nascere dall’idea. Ma basta; non voglio più scrivere dal Sottosuolo…» . Questa laconica dichiarazione pone fine alla narrazione di questo «cultore di paradossi» com’egli stesso seppe definirsi.

Salvezza dell’Io e rinascita del “sé”. L’uomo dei Ricordi è la sua parola.

L’uomo dei Ricordi è la storia narrata, è l’esperienza di una vita che la memoria filtra nella parola espressa. È l’evento creativo che appone il proprio sigillo al destino di un uomo, non più anonimo, né sconosciuto che si racconta come storia, per divenire egli stesso parte di una storia. Questo ripiegamento all’arte, nell’artificiosità della parola che prorompe dalle pieghe dell’anima come alternativa assoluta di ogni vita possibile al di fuori del sottosuolo, sebbene non presenti una risposta definitiva al dramma della non-esistenza, resta pur sempre un momento di completa ebbrezza che colma, se pur per un attimo, quel sentimento costante di déracinement da cui dipende il sentire, il capire e l’agire dell’uomo sotterraneo nel mondo.
Nella scrittura, l’uomo sotterraneo si determina un quel ricordo di sé che la memoria ha reso creazione e ha definito come «tragica epopea» di un’esistenza. E questa «epopea», che si avviluppa fra le fitte maglie della narrazione, è la vita che la memoria racconta, è la storia che si contempla nelle più misere e squallide gesta umane. In questo sfogo di coscienza, l’uomo dei Ricordi scopre, persino dinanzi all’amore, d’esser privo di spazio e prigioniero di se stesso, in un tendere ineluttabile a quell’infinito storico, a quel sempre che permane nel tempo attraverso l’atto poetico, in quel mutevole fluire che determina la poiesis in poesia, il finito in infinito, il prima in poi, il sempre nella storia, sebbene si tratti dell’insignificante storia di un uomo qualunque. L’uomo dei Ricordi, dunque, è ciò che la memoria ricorda e che la poesia esprime in quell’eccedenza di parola che è atto creativo, ma non ancora atto di vita.
Tuttavia, nel farsi materia letteraria, nel suo protendere all’arte, l’uomo dei Ricordi tenta una prima via di liberazione, se pur provvisoria, verso quel “bello e sublime” cui l’essere del sottosuolo voluttuosamente tende. La parola, come fatto creativo, sublimandosi nella poesia rappresenta un primo passo verso la liberazione di tutto ciò che opprime l’anima. Ma questo passaggio è possibile solo per mezzo dell’intuizione che, “nel fluire continuo del divenire”, coglie dalle profondità dello spirito quei frammenti del passato e del presente che si sovrappongono in un tutto inscindibile, “in una vivente unità che costituisce la persona” e “ che induce alla tentazione della parola e della scrittura dei ricordi”. In questa «orgia del pensiero», come ben fu definita da Berdjaev, la vita nel sottosuolo dell’essere, si dipana come percezione cangiante dell’Io, pura contraddizione e scissione interiore che induce l’individuo a scegliersi o escludersi, in solitudine, come essere o come nulla. Qui, si condensa uno dei temi portanti della poetica di Dostoevskij, che riflette nei Ricordi dal sottosuolo le sue tinte più caliginose, i cui contenuti sono forse controvertibili e difficili da intendere come, del resto, difficile e impenetrabile risulta essere quella realtà “sotterranea” dalla quale proviene.


Palermo, 27/06/2006

Rosa Delisi

 
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