da rassegnastampa-medicinaepersona.org
15 sett 2006
L’articolo di Adrian Owen e colleghi di recente pubblicato su Science1 ha ricevuto notevole
interesse da parte dei media per le sue possibili implicazioni etiche.
Coma e stato vegetativo sono argomenti di pubblico interesse, anche se esiste notevole
confusione circa l’uso dei due termini spesso considerati sinonimi. Il coma ha una durata
limitata, 6-8 settimane al massimo; è una vie en route verso altri destini2: la ripresa della
coscienza, la morte, lo stato vegetativo. L’apertura degli occhi, la ripresa cioè di uno stato di
veglia, segna il passaggio dalla condizione di coma a quella di stato vegetativo. In quest’ultimo
il paziente è totalmente incosciente di sé e dell’ambiente che lo circonda, ha appunto gli occhi
aperti (non costantemente), mantiene una serie di funzioni automatiche (respira, deglutisce,
digerisce, assimila), può avere movimenti che non sono mai tuttavia intenzionali, può emettere
suoni, mai tuttavia parole di senso compiuto.
Il problema se un paziente in uno stato vegetativo così definito –di veglia senza
consapevolezza- possa realmente essere identificato con certezza si pone da molti anni. Nel
19963 Andrews in Gran Bretagna segnalava come il 43% dei pazienti che arrivavano al suo
centro di riabilitazione con una diagnosi di stato vegetativo di fatto non lo fossero; alcuni
pazienti di questi erano considerati vegetativi da anni. Childs negli Stati Uniti4 trovava
percentuali simili (37%) di diagnosi inaccurate. La causa dell’inaccuratezza diagnostica veniva
individuata nell’estrema difficoltà dei pazienti a comunicare a causa della disabilità fisica
(paralisi), della sordità e dei disturbi visivi gravi fino alla cecità da cui erano (e sono) spesso
afflitti. Di conseguenza furono proposti (e di continuo lo sono5) vari metodi di valutazione con
l’utilizzo anche di strumenti per facilitare la comunicazione (per es. un semplice “cicalino” da
schiacciare con un dito, l’unico movimento possibile in alcuni pazienti3).
Da un punto di vista etimologico coscienza (cum, con e scire, conosco) sembra implicare una
condivisione, il conoscere insieme, a sottolineare come non vi possa essere, secondo tale
etimologia, vera coscienza in assenza di una relazione, di un’interazione con un altro essere o
con l’ambiente6. La logica conseguenza è l’esistenza di un comportamento volto ad interagire e
comunicare; del pari l’assenza di un tale comportamento è l’assenza della coscienza. In
maniera diametralmente opposta a quanto l’etimologia della parola suggerisce, la coscienza
può essere intesa come esperienza, ossia la somma di tutto ciò che permette ad un individuo
di sentirsi sè stesso e non un altro7. E’ chiaro che la coscienza così definita in modo qualitativo
e dunque soggettivo è inaccessibile all’osservazione esterna ed è dunque indimostrabile.
O almeno così pareva fino all’avvento, nei primi anni ’90, del neuroimaging funzionale
(Risonanza Magnetica funzionale, fMR; PET) quando ci si è chiesti se fosse possibile che
pazienti apparentemente vegetativi fossero invece non in grado di (di)mostrare al mondo
esterno la loro coscienza perché totalmente incapaci di comunicare.
In anni recenti vari gruppi8-12 hanno dimostrato risposte fisiologiche distinte e specifiche (quali
modificazioni nel flusso ematico cerebrale regionale e modificazioni dell’emodinamica
cerebrale) a stimoli esterni controllati, in assenza di qualsiasi risposta comportamentale da
parte del paziente. In uno dei primi studi di questo genere fu utilizzata la PET per indagare
l’elaborazione visiva di volti famigliari in una paziente con diagnosi di stato vegetativo8.
Un’area del giro fusiforme destro, la cosiddetta ‘area di riconoscimento del volto’13, si attivava
quando alla paziente veniva mostrato un volto noto, ma non quando le veniva mostrata
un’immagine priva di significato8; a 8 mesi dall’esordio della sua malattia la paziente era in
grado di .usare piccole frasi come “non piace fisioterapia”. In altri studi sia stimoli dolorifici12
che uditivi10 si sono dimostrati in grado di attivare sistematicamente regioni cerebrali
anatomicamente appropriate in pazienti che erano clinicamente vegetativi.
Owen insieme con il Wolfson Brain Imaging Centre Team ed il Cambridge Coma Study Group
ha proposto che gli studi di neuroimaging funzionale debbano essere condotti in maniera
gerarchica iniziando con le forme più semplici di elaborazione in un particolare dominio (ad es.
uditivo) per poi procedere a funzioni cognitive più complesse13. Egli ha così via via dimostrato
come pazienti clinicamente vegetativi e totalmente incapaci di comunicare fossero in realtà in
grado di comprendere il significato del linguaggio parlato. Dov’è allora la novità dell’articolo di
Science?
La risposta è nella cosiddetta percezione inconscia o inconsapevole. E’ per esempio possibile
dimostrare come durante l’anestesia generale i pazienti possano “percepire ed apprendere”
nuove informazioni -parole, concetti, idee che certamente non conoscevano prima- senza
averne alcuna consapevolezza14. E’ altrettanto possibile dunque che i pazienti vegetativi non
abbiano la consapevolezza della loro percezione anche quando riconoscono volti o parole. Per
dirla con Owen13, “il processo cognitivo è relativamente automatico in condizioni normali.
Avviene ovvero senza il bisogno di un intervento volontario da parte del paziente (non è
possibile decidere di non riconoscere un volto come volto, o di non comprendere un parlato che
sia presentato chiaramente nella propria lingua madre)”.
Com’è possibile dunque dimostrare la presenza di una percezione consapevole? Chiedendo,
come ha fatto Owen1, ad una paziente clinicamente vegetativa di immaginare una scena, per
esempio giocare a tennis o muoversi tra le stanze della propria casa per poi verificare con la
fMRI che le aree cerebrali che si attivavano fossero esattamente le stesse che nei controlli
sani. Questo è esattamente ciò che Owen ha dimostrato. Non vi è dubbio che l’atto della
paziente di immaginare “su richiesta” sia stato un chiaro atto intenzionale, confermando come
ella fosse consapevole di sè stessa e dell’ambiente che la circondava.
Al di là della straordinarietà scientifica della dimostrazione, l’esperimento di Owen apre anche
interrogativi inquietanti: quanti pazienti considerati vegetativi lo sono veramente? Quanti di
loro semplicemente non possono comunicare e tuttavia la loro coscienza, il “sacrario
dell’uomo”15, è preservata? Domande tanto più angoscianti se si pensa che non tanti anni fa si
proponeva di usare gli organi di pazienti vegetativi per trapianto16.
*Dirigente Responsabile ff Dipartimento Anestesia-Rianimazione e Medicina peri-operatoria
Ospedali Civili di Brescia
Bibliografia
1. Owen AM, Coleman MR, Boly M, Davis MH, Laureys S, Pickard JD. Detecting awareness in
the vegetative state. Science 2006;313:1402.
2. Zeman A. Consciousness. Brain 2001;124:1263-89.
3. Andrews K, Murphy L, Munday R, Littlewood C. Misdiagnosis of the vegetative state:
retrospective study in a rehabilitation unit. Bmj 1996;313:13-6.
4. Childs NL, Mercer WN, Childs HW. Accuracy of diagnosis of persistent vegetative state.
Neurology 1993;43:1465-7.
5. Laureys S, Perrin F, Schnakers C, Boly M, Majerus S. Residual cognitive function in
comatose, vegetative and minimally conscious states. Curr Opin Neurol 2005;18:726-
33.
6. Latronico N. Coscienza e coma. In: Latronico N, Rasulo F, Candiani A, editors. BRAIN06,
BRescia Anesthesia Intensive care and Neuroscience. Telese Terme: Madeia, 2006:7-
17. http://www.brain.bs.it (accessed 14-09-06)
7. Nagel T. What is it like to be a bat? The Philosophical Review 1974;LXXXIII:435-450.
8. Menon DK, Owen AM, Williams EJ, Minhas PS, Allen CM, Boniface SJ, et al. Cortical
processing in persistent vegetative state. Wolfson Brain Imaging Centre Team. Lancet
1998;352:200.
9. Laureys S, Faymonville ME, Luxen A, Lamy M, Franck G, Maquet P. Restoration of
thalamocortical connectivity after recovery from persistent vegetative state. Lancet
2000;355:1790-1.
10. Laureys S, Faymonville ME, Degueldre C, Fiore GD, Damas P, Lambermont B, et al.
Auditory processing in the vegetative state. Brain 2000;123 ( Pt 8):1589-601.
11. Schiff ND, Ribary U, Moreno DR, Beattie B, Kronberg E, Blasberg R, et al. Residual cerebral
activity and behavioural fragments can remain in the persistently vegetative brain.
Brain 2002;125:1210-34.
12. Laureys S, Faymonville ME, Peigneux P, Damas P, Lambermont B, Del Fiore G, et al.
Cortical processing of noxious somatosensory stimuli in the persistent vegetative state.
Neuroimage 2002;17:732-41.
13. Owen AM, Coleman MR, Pickard JD. Imaging funzionale del paziente con alterazione dello
stato di coscienza. In: Latronico N, Rasulo F, Candiani A, editors. BRAIN06, BRescia
Anesthesia Intensive care and Neuroscience. Telese Terme: Madeia, 2006:41-49.
http://www.brain.bs.it (accessed 14-09-06)
14. Latronico N, Alongi S, Guarneri B, Cappa S, Candiani A. [Approach to the patient in
vegetative state. Part I: diagnosis]. Minerva Anestesiol 2000;66:225-31.
15. Cathechism of the Catholic Church. Life in Christ, Part Three, Article 6: Moral Conscience:
The Holy See. http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s1c1a6_it.htm (accessed
19-02-06)
16. Hoffenberg R, Lock M, Tilney N, Casabona C, Daar AS, Guttmann RD, et al. Should organs
from patients in permanent vegetative state be used for transplantation? International
Forum for Transplant Ethics. Lancet 1997;350:1320-1.
(Materiale di supporto all’articolo del prof. Latronico)
Supporting Online Material for:
-Detecting Awareness in the Vegetative State
Adrian M. Owen,* Martin R. Coleman, Melanie Boly, Matthew H. Davis, Steven Laureys,
John D. Pickard
Published 8 September 2006, Science 313, 1402 (2006)
DOI: 10.1126/science.1130197
Scarica il file PDF
-RESIDUAL CEREBRAL FUNCTIONING IN THE VEGETATIVE STATE
S Laureys , ME Faymonville, X De Tiège, J Berré, S Elincx, S Antoine,
N Ligot, et alii
LIFE-SUSTAINING TREATMENTS AND VEGETATIVE STATE: Scientific advances and ethical dilemmas 17-18-19-20 March, 2004 Rome, Italy
Scarica il file PDF
 |