numero 14
26 luglio 2010
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26 luglio 2010

LA SEDAZIONE DEL MALATO TERMINALE

dr.ssa Grazia Alia
Timeoutintensiva Network, Samot
Luglio 2010


26 luglio 2010
 





PREMESSA

Nel corso del IX Congresso Nazionale della “SOCIETA’ ITALIANA DI ANESTESIOLOGIA” tenutosi a Roma nell’ottobre del 1956 emersero alcune questioni di ordine etico-religioso che esitarono nella formulzaione di tre quesiti che il Prof. Piero Mazzoni (Presidente del Comitato Organizzatore) pose all’allora Pontefice Pio XII.
Questi, nel febbraio del 1957, tenne agli anestesisti un discorso, passato alla storia ed intitolato: “DISCORSO DI PIO XII INTORNO A TRE QUESITI RELIGIOSI E MORALI CONCERNENTI L’ANALGESIA”
In particolare il 3° quesito era:
- E’ lecito l’uso dei narcotici per morenti o malati in pericolo di morte, supposto che esista per questo una indicazione clinica?
Possono venire usati anche se l’attenuazione del dolore probabilmente si accompagna all’accorciamento della vita?

Il Pontefice rispose con un lungo ed articolato discorso riferendosi tanto ai malati di cancro che ai pazienti affetti da altre patologie inguaribili ma quel che più conta e che in modo lapidario ed inequivocabile disse…”E’ LECITO da parte del medico l’uso di tecniche che tolgano il dolore e la coscienza (e quindi la sofferenza totale, n.d.s.) se anche ciò dovesse abbreviare la vita del paziente morente”…

Questa premessa è motivata dal fatto che nel da sempre l’ostacolo principale ad un corretto uso della sedazione nei malati terminali è stato rappresentato da problemi di ordine etico-religioso e dal fatto che troppo spesso (per scarsa conoscenza delle cose!) si è fatta o si è “voluta” fare confusione fra sedazione terminale ed eutanasia che, come è noto, sono cose totalmente diverse essendo quest’ultima, per definizione, la somministrazione di farmaci atti a causare la morte; mentre i farmaci usati per la sedazione e la loro modalità di somministrazione, non solo non causano la morte ma la letteratura, anche la più recente, è piena di attestazioni dirette ed indirette che dimostrano che la sedazione terminale non ha un impatto significativo sulla sopravvivenza.

La netta distinzione fra Eutanasia e Sedazione Terminale è chiaramente riportata dall’ “European Association for Palliative Care Ethics Task Force” che sottolinea l’intensione di alleviare sofferenze intollerabili con la sedazione, provocare la morte con l’eutanasia. Se poi l’eutanasia possa essere talora un fatto moralmente accettabile, è tutt’altro argomento di discussione.

La SICP si è vista costretta a modificare il termine di “Sedazione Terminale” con quello di “Sedazione Palliativa” poiché l’aggettivo “terminale” non veniva accettato dai più…Successivamente fu introdotta la dizione Sedazione Terminale/Sedazione Palliativa (ST/SP), tutt’ora in uso. Inoltre non è affatto detto che alla ST/SP segua necessariamente la fine della vita: infatti questa procedura può essere messa in atto in un momento particolarmente travagliato della malattia e stoppata dopo un determinato numero di giorni o di ore per valutare le condizioni generali del paziente e quindi ripristinarla o sospenderla temporaneamente. La sedazione infatti può essere distinta in:
-continua
-short-time (sedazione breve)
-intermittente.
Anche la “profondità” della sedazione può essere variabile; sicchè il paziente può essere sedato ma risvegliabile con stimoli di diversa entità (v. scala di Rudkin).
Ovviamente bisogna trovare un giusto equilibrio fra profondità della sedazione e possibilità di abolizione della sofferenza.
Infatti l’abolizione della sofferenza è un dovere per il medico; nessun essere umano, a meno che, per motivi personali, non lo decida autonomamente, deve essere lasciato in preda al dolore.
L’abolizione della coscienza, poi, si impone quando le sofferenze sono tali da non essere più aggredibili con alcuna terapia.
Secondo il National Hospice and Palliative Care Organization (NHPCO) lo scopo della sedazione palliativa è quello di indurre uno stato di incoscienza che evita al paziente sofferenze insopportabili e refrattarie ad ogni terapia.
Talvolta è possibile realizzare una analgo-sedazione già a dosaggi tali da consentire il risveglio del malato sotto stimolo; altre volte invece le condizioni cliniche impongono una sedazione “pesante”, come, per esempio, in caso di delirio.
E’ opportuna anche una valutazione dell’udibilità delle secrezioni bronchiali:
0- non udibili
1- udibili molto vicino al paziente
2- udibili ai piedi del letto
3- udibili almeno a 6 metri.
Questo è un fenomeno che mette a disagio i familiari perché crea una percezione tangibile della morte incombente ed anche per questo sarebbe opportuna una sedazione più “pesante” in caso di rantolo terminale fortemente presente.
In merito alle tecniche, ai tempi ed alle modalità di somministrazione della ST/SP esiste una letteratura infinita che riguarda sia i pazienti ricoverati in Hospice che quelli assistiti al domicilio. Tutti questi elementi subiscono pesantemente l’influenza di fattori culturali, ambientali, familiari. E’ molto difficile talvolta convincere i familiari del morente che levargli la sofferenza è l’unica cosa che si possa più fare, che è una cosa giusta. Purtroppo spesso bisogna confrontarsi con i pareri diversi dei diversi familiari!
Recentemente, a Patrasso, in Grecia, gli anestesisti del Dipartimento di Terapia Intensiva dell’Ospedale Universitario e quelli della Scuola di Medicina, Dipartimento di Anestesiologia e Rianimazione dell’Università hanno sperimentato la ST/SP con PCA gestita dal paziente stesso o dai familiari.
(Cases J.,febb.2009,A:Diamanto et all.)

Nel mondo l’uso della ST/SP è molto influenzato da fattori ambientali, religiosi e socio-culturali al punto che la sua realizzazione varia dall’1% all’88% nelle varie casistiche.
Comunque la ST/SP è riservata a quei pazienti che presentano sofferenze non più responsive alle terapie convenzionali.
E’ molto importante sottolineare che tali sintomi non sono solamente fisici, ma molto spesso sono prevalentemente psichici, o anche solamente psichici, e la sofferenza psichica talora può essere meno sopportabile di quella fisica!
Nelle fasi finali della vita possiamo trovarci di fronte ad una “sofferenza totale”, insopportabile che abbraccia il contesto fisico, sociale, spirituale…
Spesso i pazienti hanno coscienza della loro terminalità e devono confrontarsi col dolore forte, con l’incapacità di autogestirsi, col sentirsi mortificati nella loro natura di esseri umani e lottare con sofferenze insopportabili come l’ambascia respiratoria, il vomito e la nausea incoercibili, le emorragie imponenti…ed il pensiero che stanno per abbandonare per sempre i loro cari, le loro cose, la loro vita. Sull’altro fronte i familiari, spesso stanchissimi perché provati da un lungo periodo di caregivering, devono sopportare, oltre al dolore per la perdita, l’idea dell’impotenza di fronte all’evento; ed in più vedono la persona cara soffrire…
La ST/SP infatti, oltre ad essere proposta dal medico palliativista è sovente richiesta dai familiari e talvolta dagli stessi pazienti che già con molto anticipo vogliono “garanzie” che quando si avvicinerà la fine della loro vita ci sarà chi si preoccuperà di non farli soffrire e di non farli assistere alla propria fine.
Credo che la narrazione della malattia, da parte del paziente ed anche dei familiari, in questa fase sia molto importante e comprendere come viene percepita in questo contesto la possibilità di induzione di un sonno lieve o profondo è fondamentale.
“Sonno lieve o profondo” forse sarebbe la frase da usare con la famiglia di un malato morente che vogliamo accompagnare dolcemente fino alla fine del suo cammino, con rispetto per lui e per il dolore di chi rimane.

Uno studio recentemente apparso sulla rivista Annals of Oncology (20: 729-735, 2009), condotto su 4 aree geografiche e coordinato dal Comitato Etico dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Genova si è sviluppato come intervista ai caregivering dopo la morte del familiare malato di cancro per indagare sulla qualità degli ultimi giorni di vita e sul trattamento del dolore: purtroppo da questo studio è emerso che solamente il 48,9% dei pazienti aveva ricevuto un trattamento che consentiva un sollievo anche solo parziale del dolore. In Italia solamente il 60% dei pazienti con dolore forte riceve un trattamento con oppioidi, e nonostante questo studio debba tener conto del sentimento dei caregivers intervistati si evince che senza dubbio il problema del dolore oncologico è presente e pressante.
Tale pratica nel nostro paese viene posta in essere nel 25% circa dei pazienti assistiti al domicilio e può arrivare fino all’88% dei pazienti in Hospice.
Studi simili sono stati condotti anche in altri paesi e con risultati simili, il chè ci consente di affermare che il dolore del malato oncologico è un problema mondiale e tutt’altro che risolto nonostante i presidi terapeutici disponibili da sempre.
Negli Stati Uniti, per esempio, ¼ dei pazienti non riceve un trattamento adeguato nelle fasi terminali della vita, in Giappone la sedazione terminale è praticata solamente in speciali unità di cure palliative e solo a pazienti particolarmente sofferenti che avessero preventivamente espresso un consenso ed anche col consenso dei familari.
Se teniamo presente che per gestire il dolore da cancro è sufficiente:
- una buona conoscenza di pochi fondamentali analgesici;
- combattere fin dall’ inizio la sintomatologia;
- impostare correttamente posologia e modalità di somministrazione, può risultare difficile comprendere come mai ancora, nel mondo, tale problema rimanga senza una soluzione totale.

In tutte le casistiche la ST/SP ha una durata media di 3 giorni cui segue, generalmente, l’evento morte.
Trascorso tale periodo è possibile ridurre la posologia dei farmaci sedativi e rivalutare la coscienza e/o la sofferenza del paziente. Ma questa evenienza è rara: generalmente le procedure di sedazione si mettono in atto quando il medico capisce che il paziente è giunto alla fine della vita.

I sintomi presenti nei pazienti candidati alla ST/SP sono:
-distress respiratorio con crisi di angoscia
-sanguinamenti massivi e non controllabili(soprattutto a carico delle vie digestive e respiratorie)
-delirio
-dolore
-vomito incoercibile e nausea
-disaggio psichico grave accompagnato da panico (distress esistenziale)

In caso di presenza di solo distress esistenziale è molto difficile velutare l’opportunità della sedazione specialmente se si ha il controllo terapeutico dei sintomo fisici, anche se il distress psicologico può portare a sofferenze non inferiori a quelle fisiche.
Una giusta condotta deve prevedere in questi casi anche l’assistenza psicologica e spirituale oltre a quella sanitaria.

Il MIDAZOLAM è il farmaco attualmente più usato per questo scopo. La dose è molto variabile e dipende molto dalla risposta individuale. Generalmente ci si muove in un range che và dai 10 ai 1200 mg/die con un dosaggio medio di circa 75mg/die.
Si inizia con un bolo di 5 mg che può essere somministrato lentamente e.v. oppure sottocute o intramuscolo e si continua con un drip a velocità variabile a seconda della risposta del paziente.
Gli oppioidi devono essere associati se è presente dolore.
Talvolta sono state usate le fenotiazine o l’aloperidolo in pazienti con delirio ma oggi questo non trova ragion d’essere dal momento che il midazolam, a dosi adeguate, risolve brillantemente anche questo problema. L’uso di farmaci come il propofol, il remifentanil e il farmotal attualmente è consentito solamente agli anestesisti.

 
 
 
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