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Ci sono posti che sono delle sacche di resistenza organizzata alla divulgazione della cultura medica. Sono roccaforti inespugnabili di obbiettori di coscienza nei confronti del pensiero scientifico e della pratica clinica più elementare. Qui si nascondono anche pochi, isolati entusiasti cultori della emergenza extraospedaliera ortodossa. Sono una minoranza, probabilmente destinata all’estinzione. Travolti da uno tzunami di inoperosi affacendamenti più prossimi allo sciamanesimo che alla medicina moderna. Capisco che sia necessaria una frequentazione, almeno occasionale, di un corso di medicina per sapere che Glasgow non è solo una ridente località della Scozia ma, che, quando associata a Coma Scale indica diversi livelli di stato di coscienza. Mi rendo conto che vien difficile ricordarsela come la maestra ci ricordava i vari tratti delle Alpi. Mica c’è una filastrocca in rima per il coma. Vien da se che ogni regione o paese ne elabora una con leggere modifiche. Così che ci possa essere l’Omegna Coma Scale e con pari dignità anche la variante di Cuggiono. Per i linguisti più puri, poco inclini all’uso dei numeri, sono disponibili scale locali più descrittive in cui il coma può essere duro o grave, ma anche barzotto, utilizzando una terminologia con licenza da classificazioni più prosaiche. Non volendo inopinatamente insistere su argomentazioni di carattere nozionistico affronterei con slancio la prima pruriginosa questione: L’intubazione oro-tracheale al di fuori dell’Ospedale per i pazienti in coma (indipendentemente dalla scala utilizzata) può comportare il malocchio persistente per l’operatore? Apparentemente si. Solo pochi sventurati hanno ricevuto questo privilegio. Da dati recenti sembra che gli operatori avessero Urano nel Leone. Una condizione estremamente favorevole. Inoltre se allo stato di coma si associa quello di shoch emorragico è noto dal cofanetto deluxe della prima serie di E.R. che la questione si complica. Era inoltre propedeutico alla formazione in emergenza ed urgenza sul territorio la visione di almeno uno (meglio due) epici film con John Wayne. Qui a fronte di un copioso sanguinamento da una ferita da taglio il posizionamento di una cintura stretta a monte della ferita stessa risultava di notevole aiuto. Il sorso di whyskey pare a tutt’oggi opzionale. Sfortunatamente il nostro soccorittore aveva privilegiato Tom e Jerry per la sua formazione. Secondo questa diversa corrente di pensiero anche gli approcci più fatalisti spesso si risolvono con voluminosi ma benigni bernoccoli, uccellini che cinguettano e qualche stellina che ruota sul cranio. Uno dei problemi della medicina moderna è, inoltre, la superspecializzazione. Una competenza universale per un particolare. Nel nostro caso il soccorritore era da generazioni un profondo conoscitore della storia e dello sviluppo del futon. Lo sventurato, è vero, non aveva una protezione delle vie aree, respirava a stento, sanguinava come un vitello sgozzato ed aveva una pressione arteriosa non pervenuta come la temperatura di Vladivostock. Ma era posizionato sulla sua tavola spinale che lo potevi fotografare. Un capolavoro di simmetria assiale. Ogni singola cinghia del ragno era tesa alla perfezione. Accordate come le corde di un pianoforte; se le sfioravi nella sequenza giusta ottenevi la sigla del Dottor Kildare. Insistere sul razionale di tale scelta si è rivelato dirompente. Una critica all’estro del singolo. Una inopportuna limitazione della libertà del soccorritore cui venivano tarpate le ali della fantasia creativa costringendolo ad ammettere che no, lo sventurato non aveva subito traumi da precipitazione; no non era lecito chiedersi se l’asse spinale avesse una funzione. Era come chiedere a Dechamp se la ruota sullo sgabello avesse un fine pratico. Una domanda inopportuna e fastidiosa. Posta da chi certe raffinatezze non le può mica capire. Lo sventurato era lì, ora ed adesso, per volere dell’artista. E se proprio vuoi una ragione questa è che lo sventurato sanguina. E se uno sanguina si mette sulla spinale. Pragmatismo dogmatico. Non si discute. Andava capito subito che il tempo delle domande era finito. I frequentatori delle roccaforti del negazionismo scientifico sono persone di poche parole. Spesso anche scoordinate. Ma soprattutto poche. Devono fuggire. All’interno degli Ospedali hanno pochi minuti di vita. Si teme che nano particelle di pensieroscientifico disciolto nell’aria associate alla pratica clinica elementare possano irrimediabilmente contagiarli. Sarebbe sufficiente ascoltare qualche stralcio di discorso tra operatori sanitari a vaporizzarli. Solo alcuni di loro, praticanti la mesmerizzazione trisettimanale, possono prolungare la permanenza. Sfortunatamente non era il caso del nostro. La sfrontatezza con cui si soleva proprio capire quale meccanimo avesse prodotto una tale lesione era insopportabile. Dopo che lui aveva con solerzia e precisione consentito che il male presente nelle vene e nelle arterie dello sventurato fluisse libero sul pavimento liberandolo e purificandolo, che altro ancora si poteva volere da lui. Piccinerie di noi menti semplici. Condannati a sapere se dover redigere una comunicazione alla Procura della Repubblica oppure no. E’ noto, infine, che gli appartenenti a queste congregazioni di negazionisti della medicina tradizionale sottoposti a stressanti interrogatori inerenti il loro operato divengono violenti. Unendo così la peculiare caratteristica di un eloquio colorito, seppur difficilmente comprensibile, ad atteggiamenti aggressivi. Si profila così un quadro completo composto da una popolazione piuttosto omogenea e diffusa sul territorio nazionale di individui legittimati a scegliere per la salute di alcuni sventurati in accordo a leggi non governate dal pensiero scientifico ma dall’estro o dal caso, accompagnate dalla presunzione e dalla supponenza di chi sa. Data la precisa localizzazione geografica di tali congregazioni taluni auspicano, come per i dinosauri, l’avvento prodigioso degli asteroidi.
Sun-Tzu Racconto e Foto da nottidiguardia.it L’anonimato dell’autore è regola non negoziabile al permesso di pubblicazione, da noi richiesto. per gentile concessione
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