numero 14
26 luglio 2010
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Principi di Rianimazione Biologica post-operatoria
G. Mirto, L. Speciale, N. Petrina
 
Archivio Siciliano di Medicina e Chirurgia, Volume II- N. 6 bis - Nov.Dic. 1961

ISTITUTO DI CLINICA CHIRURGICA GENERALE E TERAPIA CHIRURGICA
DELLA UNIVERSITA' DI PALERMO
Direttore: Pro/. S. Latteri

OSPEDALE SANATORIALE « G. F. INGRASSIA » DELL' I.N.P.S. - PALERMO
Direttore: Pro/. N. Sanguigno

PRINCIPI DI RIANIMAZIONE BIOLOGICA POST-OPERATORIA *
N. PETRINAG. MIRTOL. SPECIALE

 

In tema di assistenza al malato chirurgico, ormai da lunghi anni, l'orientamento terapeutico è stato indirizzato verso la ricerca di un mantenimento stabile dell'equilibrio biologico dell'organismo sottoposto allo insulto operatorio. Questo equilibrio, per unanime ed accertato consen­so dei molti AA., che si sono interessati all'argomento, viene ricercato nel normale andamento dell'azione cerebrale, cardio-vascolare, miocar­dica, siero-ematica, epatica, renale, surrenalica, ecc. ecc. azione normale ed equilibrio, che vengono sintetizzati nella ben nota espressione: « la normale omeostasi organica ».
Studi più accurati hanno potuto stabilire, in seguito, che detta normale omeostasi dipendesse, sì, dall'azione regolare ed equilibrata dei va­ri sistemi ed apparati, ma che, in ultima analisi, responsabile di que­sto equilibrio fosse la cellula, immersa nel suo bagno biologico, inter­stiziale, e che l'essenza della funzione biologica dovesse essere ricercata negli scambi intercorrenti tra endoplasma cellulare e mezzo interstiziale.
Si vide e si accertò, in altri termini, che la regolarità degli scam­bi, complicati, che si verificavano attraverso il filtro biologico della membrana cellulare, fosse addirittura responsabile di tutto l'equilibrio nell'organismo vitalmente idoneo.
Si cominciò, pertanto, a studiare la composizione chimica delle singole entità cellulari e del liquido che le bagnava e si constatò che oltre alle complicate e non sempre comprensibili molecole proteiche, glucidiche, lipidiche, a tutti i conponenti organici, fosse comune una certa quantità di minerali, sciolti nei vari liquidi e presenti in essi sotto forma di elettroliti e come tali dotati di una carica elettrica che ne determinava un continuo movimento, incessante, sotto la spinta di mi­steriosi richiami.
Fu pertanto dimostrato che i minerali in parola prendessero viva parte all'azione cellulare ed al suo riposo, e che proprio da un normale e preordinato spostamento degli elettroliti dalla cellula al mezzo inter­stiziale e viceversa scaturisce quella omeostasi cui dianzi accennavamo.
Si parlò di polarizzazione e depolarizzazione della membrana cel­lulare, per indicare con questi termini l'azione e la ricostituzione del potenziale cellulare e gli studi si moltiplicarono nell'intento di carpire sempre più profondamente il segreto della vita cellulare.
La depolarizzazione della membrana cellulare, la ritenzione di so-dio all'interno della cellula, il passaggio dell'jone K dalla zona intra a quella extracellulare, il turbamento dell'equilibrio ionico del plasma, sono quelle reazioni umorali, chimico-fisiche e fisio-biologiche che si istaurano nell'organismo colpito da una aggressione o stress legato all'anestesia o al trauma operatorio.
Dette reazioni comporteranno un certo disquilibrio per la corre­zione del quale l'organismo sarà chiamato a spendere nuove energie.
Lo studio di queste reazioni, se è stato Ampiamente approfondito in ciò che concerne l'equilibrio dello jone Na, è stato invece visto piut­tosto superficialmente, forse perchè le conoscenze fisiologiche di esso sono in certo qual modo limitate in quel che riguarda lo jone K.
Lo jone Na esplica, come è noto, la sua azione principale nell'assi­curare un livellamento della pressione osmotica, intra ed extracellulare e l'o jone K, per il fatto stesso di intervenire nel determinare l'attività di certi enzimi, sembra avere, dal canto suo, un ruolo non indifferente nel normale svolgimento della vita stessa.
E' compito fondamentale della rianimazione di prevenire il deter-minarsi di questi turbamenti o di correggere quelli eventualmente manifestatisi, ristabilendo nell'organismo la normale omeostasi. Dovendo correggere pertanto gli eventuali squilibri, che uno stress anestesiologico od operatorio avrà determinato sui vari apparati ed organi, la rianima­zione dovrà tenere in debito conto questi elettroliti.
Noi abbiamo voluto riportare a fuoco gli squilibri dell'elemento K, che sappiamo si verificano a livello della membrana cellulare, ed ab­biamo orientato la nostra metodica rianimatoria preoccupandoci soprat­tutto dell'equilibrio di questo jone.
L'jone K per la sua massima parte si trova, come è noto, nell'in­terno delle cellule e taluni dosaggi di esso, nell'organismo umano, ne fanno ascendere la quantità totale all'incirca sui 175 grammi (PETTINARI e DAGRADI). Di questi solamente 2,5 - 3grammi si trovano disciol­ti nei liquidi extracellulari. All'esterno della cellula il K si trova allo stato ionico, mentre che all'interno, probabilmente nei mitocondri, tro­vasi combinato con le proteine e con il fosforo. Secondo GARDNER la creatina del muscolo, ad esempio, non è che un sale dipotassico; ed inoltre potassio si trova combinato con il glucosio ed il glicogeno. Tali combinazioni, però, non sono affatto stabili, chè, anzi, specie a livello del fegato, ma anche nei muscoli e perfino nei globuli rossi, esse sono in costante movimento, verificandosi continuamente scambi attraverso le membrane cellulari. Un concetto sul quale è opportuno fissare l'at­tenzione, che ha i suoi riflessi nella interpretazione di taluni fenomeni e che come vedremo, riveste particolare importanza nella metodica ria­nimatoria, riguarda gli spostamenti degli joni K attraverso le membrane delle cellule. Essi avvengono con dispersione di energia, la quale viene sottratta al metabolismo della cellula. infatti, se il passaggio dalla cel­lula al liquido interstiziale, pare, avvenga passivamente, come un fe­nomeno puramente fisico (LABORIT et HUGUENARD), il passaggio all'in­terno di essa avviene sempre con dispersione di energia (RELMON e coll. 1956 1957).
Le variazioni del tenore ionico del siero e quello delle cellule spie­gano il metabolismo cellulare, che è appunto legato a talune leggi ge­nerali della fisico-chimica. In effetti, proprio per interposizione di que­sta struttura fisico-chimica, che è la membrana cellulare, il contenuto delle cellule vive a contatto col mezzo ambiente, determinandosi quegli interscambi, che costituiscono la così detta « permeabilità media della membrana » (GELHORN et RÉGNIER).
I processi del metabolismo cellulare si compendiano pertanto in due fenomeni: quello catabolico, per il quale si raggiunge la depolariz­zazione della membrana cellulare, che, come estrema conseguenza, può condurre all'esaurimento della cellula; quello anabolico, compensato-rio, in cui viene assicurata la ripolarizzazione.
In termini di metabolismo del K corrisponde a depolarizzazione la fuoriuscita dell'jone K intracellulare ed il suo conseguente aumento nel dipartimento extracellulare (iperkaliemia); mentre che la polarizzazio­ne, al contrario, viene collegata al reingresso dell'jone K dentro la cel­lula (iperkalicitia) ed alla sua combinazione con altri elettroliti.
Questi principi, sia pure così sommariamente esposti, indicano co-me l'jone sia uno degli elementi che costituiscono la così detta ricchez­za ionica intracellulare cioè un fattore che, con la sua presenza, de-termina l'aumento del potenziale della membrana, e che pertanto in ogni attività della cellula la presenza di esso è determinante. Insistiamo quindi sul concetto che la ripolarizzazione della cellula e, di conseguenza, la sua ricarica in tono corrisponde al passaggio di joni K dal liquido extracellullare all'interno di essa.
A questo punto è opportuno richiamare qualche nozione generale di fisiobiologia, allo scopo di spiegare l'utilizzazione clinica dei con­cetti puramente dottrinari, così come noi li abbiamo esposti.
Volendo occuparci della rianimazione cardiovascolare accenneremo ai due complessi proteici che entrano in campo nel corso della con­trattilità muscolare; ci riferiamo alla aetina ed alla hniosina, le quali, coniugandosi, formano l'actomiosina. Questa proteina parrebbe l'ele­mento responsabile del tono muscolare (BEST e TAYLOR). E' stato infatti dimostrato dalle ricerche sperimentali che se all'interno della fi­bra cardiaca l'actina e la miosina sono dissociate, il muscolo si trova in stato di ipotonia; mentre che, se detti componenti proteici della cel­lula si trovano associati a formare l'actomiosina, il tono della fibra è elevato. L'associazione o la dissociazione dei componenti protidici delle fibre avviene però in virtù di quel movimento ionico di K cui abbia­mo testè accennato e pertanto la ricchezza ionica della cellula è determinante di qualsiasi attività delle sue fibre. Quando la cellula è ricca di joni il complesso è dissociato; dunque il tono delle fibre è basso; quando invece difetta la presenza di joni all'interno della cellula, il complesso trovasi associato e quindi il tono della fibra è elevato.
E' ovvio che il movimento dell'jone K non è un movimento a sè, assolutamente indipendente, ma è legato, come è noto, ai movimenti degli H joni e dei Na joni. Il tenore ionico extracellulare e quello intra-cellulare è regolato da un determinato rapporto, il quale stabilisce il valore del potenziale della membrana cellulare, nonchè l'indice della sua permeabilità.
Volendo applicare questi concetti al sistema cardiovascolare e quindi a quelle fibre il cui tono è determinante nel corso del risveglio di un paziente o della sua rianimazione, potremo dire che i fattori ca-paci di aumentare il tenore cellulare diminuiscono il tono cardiaco e quello delle fibre lisce dei vasi, e che, inversamente, qualunque fattore suscettibile di abbassare il contenuto di joni K intracellulari, aumen­tando parimenti quello del K extra, raggiungerà lo scopo di aumentare il tono del miocardio e dei vasi. E similmente nel corso della depolariz­zazione il Na, jone essenzialmente extracellulare, avrà la tendenza a penetrare nelle cellule, determinando una corrente di joni attraverso la membrana e pertanto, come hanno dimostrato le esperienze di OVERTON fin dal 1902, condizionerà il potenziale di azione cellulare. L'intensità del potenziale di azione cellulare (LORENTE DE No; Houc-KIN KATZ) quindi, è in rapporto diretto alla ricchezza in sodio del mez­zo di perfusione. Durante la ripolarizzazione, viceversa, il Na, che sarà penetrato all'interno delle cellule, dovrà esserne espulso, giacchè è noto come in fase di ripolarizzazione, al reingresso dell'ione K nelle strutture cellulari corrisponda la fuoruscita dell'elettrolita Na, fuoru­scita che avviene in certo qual modo forzando le comuni leggi della diffusibilità, in quanto avviene contro un gradiente di Na extracellula­re ancora più elevato (pompa a sodio). Ma perchè questo fenomeno possa avvenire sarà necessario lo sviluppo di un processo metabolico intenso, al quale parteciperà tutto il protoplasma cellulare.
In fase di rianimazione, quindi, ciò che conta è il ristabilimento della« ricchezza ionica» cui abbiamo accennato; dunque il ripristino del valore del potenziale della membrana.
Intendimento primo della rianimazione è, come abbiamo detto, quello di ristabilire la normale omeostasi della vita cellulare, nel senso che, considerata per un qualsiasi stress o quid la cellula fiaccata od esaurita, la rianimazione determina la sua rimessa in tono o se vo­gliamo dire più propriamente, è compito della rianimazione, ripolariz­zare le cellula depolarizzata.
E' ovvio che bisognerà ricostituire soprattutto quegli organi o quei sistemi che per la loro funzione « nobile » rappresentano i centri della attività dinamica (miocardio, sistema vascolare, muscoli, ecc.). Avre­mo pertanto agenti o farmaci polarizzanti e agenti o farmaci depolariz­zanti. Sono proprio questi poteri specifici che dovranno indirizzarci nella condotta della rianimazione farmacologica.
HOUSSAY et GERSCINANN hanno dimostrato il potere ipokaliemiz­zante dei simpaticolitici, che si evidenzia con un aumento del K in­tracellulare; H. et G. LABORIT hanno evidenziato questa stessa azione con l'uso di neuroplegici e dei ganglioplegici; ancora, l'insulino-gluco­sio-terapia provoca lo stesso effetto, come pure la iperventilazione, per la sua capacità di diminuire il tenore di H joni extracellulari.
In realtà, il livello plasmatico del K deve essere considerato in re­lazione all'equilibrio acido-base del plasma. Come è noto l'acidosi ostacola il trasporto del K nelle cellule e perciò una potassiemia bassa, ipo­kaliemia, in presenza di acidosi indica, come hanno dimostrato BUNELL e coll. (1956-57) una grave deplezione potassica.
L'adrenalina, la noradrenalina, la stimolazione del simpatico, in-vece, determinano depolarizzazione, aumentando la kaliemia a danno della kalicitia. La digitale e la DOCA posseggono una azione tonica sul sistema cardiovascolare (STEPHEN) ed agiscono, secondo questo A., limitando la reintegrazione cellulare in K. La ipoossia e l'ipercapnia agiscono, dal canto loro aumentando gli H joni extracellulari, da una parte, e dall'altra, diminuendo il rapporto Kt - K. (potassio intra­extracellulare) come conseguenza della azione adrenergica che essi de-terminano.
Ad un primo esame di queste ultime nozioni sembrerebbero scon­volti tutti i canoni che fino ad ieri hanno indirizzato i concetti elemen­tari di rianimazione (adrenalina, simpatol, digitale, strofanto, cloruro di sodio in soluzioni isotoniche per via venosa o di glucosio al 5%, ecc. BOBBIO, 1937) ma ad un più approfondito studio, non si può che con­cordare con gli AA. che si sono interessati dell'argomento. Basti sof­fermarsi, infatti, ad esaminare l'entità del danno che può apportare ad un cuore esaurito od in fase di esaurimento, per eccesso di depolarizza­zione, un farmaco che lo sottoponga a nuova eccitazione.
E' il caso dell'adrenalina su una membrana in fase di depolarizza­zione massima. Detto farmaco agirebbe, per dirla con un termine che noi stessi abbiamo in altra sede adoperato, come la frustata data al cavallo quando è stanco: lo sprona sì, ma lo esaurisce anche.
Logica conseguenza sarà la nozione che per ripolarizzare le mem­brane cellulari, nel nostro caso quelle cardiovascolari, dovranno essere apportati al metabolismo cellulare sostanze facilmente ossidabili, le quali potranno fornire 1' energia necessaria, prontamente, ed in quantità totale; giacché, anche se questa affermazione può sembrare paradossale, è durante la fase di riposo che gli elementi vitali richie­dono più energia o, come si esprimono LABORIT e HUGUENARD « è la restituzione del potenziale di riposo che rappresenta l'atto cellulare veramente attivo» .

Ci sembra opportuno a questo punto sintetizzare nello schema che presentiamo, il movimento degli joni Na e K durante le alterne fasi della attività cellulare :

 

Ad avvalorare i dati fin qui esposti, sono le esperienze che hanno dimostrato come la immissione massiva in circolo di cloruro di potas­sio determini la fibrillazione del muscolo cardiaco, seguito dal suo ar­resto. Allorchè, però, con manovre adatte di massaggio cardiaco e di defibrillazione elettrica, mentre si mantiene una iperventilazione, si ri­porta il cuore alla sua attività automatica, malgrado altre immissioni in circolo di joni K, questo continua nel suo normale automatismo. Tutto ciò ci darebbe ancora conferma del fatto che l'eccesso di K ex­tracellulare è capace di determinare, in un primo tempo, una eccessi-va depolarizzazione della membrana cellulare, con relativo esaurimen­to della cellula; allorchè poi il potassio passa nello spazio intracellula­re, la cellula si repolarizza, acquistando una carica tale, che altre even­tuali cariche di K extracellulare non sono più capaci di esaurirla (v. fig. 1).


Fig. 1: (da Laborit e Huguenard)

Viene registrata la pressione carotidea in un cane di 20 Kg.

A = apertura toracica - inizio respirazione controllata.
§ B = iniezione rapida di 500 mg di KCL per endovena.
C = fase della fibrillazione ventricolare.
da C a D = tempo del massaggio cardiaco.
D = shock elettrico; ripresa dell'automatismo cardiaco.
F. = la nuova iniezione venosa rapida di 500 mg di KCL non provoca la fibrillazione.

A lume delle cognizioni dottrinarie testè esposte, si comprende quanta enorme importanza debba essere data dal Rianimatore all'equi­librio ionico cellulare ed alle caratteristiche dei valori medi della mem­brana. Si tratta in altri termini di ristabilire l'equilibrio idroionico ai due lati della membrana e non da una sola parte, come avverrebbe nel caso si volesse riequilibrare il mezzo endocellulare perturbato, senza trattare la causa che ne ha determinato il deficit.
Sono state le esperienze di KUNLIN a mostrare che è possibile evitare il collasso precoce, in animali altamente traumatizzati, perfonden­do soluzioni di glucosio ipertonico ed iperventilando i polmoni; così come è possibile di evitare la «crush syndrome» nel coniglio, con in­troduzioni venose di glucosio ipertonico.
Sulla scorta delle esperienze eseguite dagli AA., che abbiamo ci­tato nel corso di questa esposizione, da circa cinque anni abbiamo orientato la terapia rianimatoria pre-intra- e post-operatoria imme­diata, tenendo soprattutto conto dei dati, che fin qui siamo andati esponendo. Obiettivo delle nostre pratiche terapeutiche è stato infatti quello di usare farmaci e sostanze rianimanti, che potessero contribuire alla ripolarizzazione della membrana cellulare, onde metterla in condizione di potere reagire, senza doversi esaurire, al normale stress ane­stetico e chirurgico. Allorchè essa, poi, fosse esaurita, di potersi prontamente ripolarizzare.
Con l'intento di facilitare le ossidazioni cellulari e di portare prontamente materiale altamente energetico e facilmente combustibi­le, abbiamo ritenuto di potere impiegare quantità leggermente supe­riori, a quelle comunemente usate, di glucosio o di altri esosi. Un au-mento della concentrazione di essi nel mezzo extracellulare poteva in-fatti arrecare un contributo non indifferente, nell'accelerare il meta­bolismo cellulare e quindi a ricaricare il potenziale di membrana. Contemporaneamente abbiamo ridotto l'apporto dell'jone Na nei liquidi di perfusione, onde diminuire la concentrazione extracellulare di que­sto jone, per favorirne a sua volta la migrazione dall'interno della cellula.
Tenendo conto, altresì, del concetto, ampiamente noto, dello svol­gimento della vita cellulare nelle sue fasi di aerobiosi e di anaerobiosi, abbiamo ritenuto di dovere interpretare che l'apporto del glucosio iper­tonico dovesse agire a livello del metabolismo cellulare, proprio in quei casi di vita cellulare svolta in anaerobiosi. In dette circostanze infatti la principale fonte di energia cellulare deriva dalla glicolisi. Poichè i processi di glicolisi sono estremamente dispendiosi, a prezzo del substrato che li determina (cioè del glucosio) è chiaro che talune reazioni organiche si svolgeranno con liberazione di glicogeno, vuoi epatico che muscolare, del quale l'organismo purtroppo non ha riserve copiose, e che facilmente, fra l'altro, possono esaurirsi. In mancanza di riserve glicogeniche, pertanto, l'organismo è portato a compensare la richiesta con l'autofagia dei tessuti, a spese delle proteine, ed in tal modo viene assicurato il potenziale energetico.
Ci è parso pertanto probabile come l'apporto massivo di glucosio, nei casi in cui pronta doveva avvenire una ricostituzione di energie, o in quelli nei quali ne supponevamo. una grossa richiesta, per gli scopi del nostro intervento, potesse consentire quella glicolisi tanto utile ad evi-tare sia la morte cellulare sia a garantire la pronta rimessa in fase dei processi ossidativi.
E, d'altra parte, come altre esperienze di HUGUENARD e BLAISE hanno dimostrato, le soluzioni di glucosio o di fruttosio, ipertoniche, provocano una costante ipereccitabilità neuromuscolare, laddove una ipoeccitabilità viene determinata con l'introduzione di soluzioni al 5%; ed ancora STOLL, dal canto suo, ha mostrato che il volume plasmatico diminuisce allorquando si adoperino soluzioni di glucosio al 5% e che il K cellulare vira, addirittura, nel settore extracellulare, allorquando si adoperino soluzioni isotoniche di glucosio.
Tenendo conto quindi dei dati forniti da queste esperienze, e, so­prattutto, incoraggiati da quelle altre, nelle quali l'impiego del glucosio ipertonico aveva dimostrato effetti tanto sorprendenti, abbiamo sommi­nistrato anche noi le soluzioni ipertoniche di glucosio, impiegando volta a volta concentrazioni del 15, 20, e perfino del 30%.
Sono state contemporaneamente somministrate piccole dosi di insu­lina, da 10 a 30 U.I., in rapporto alla quantità di glucosio perfuso (150, 250 g).
Intendimento di detta somministrazione è stato quello di sfruttare da una parte, l'azione del glucosio, mediante una pronta combustione di esso, e dall'altra, di favorire, secondo quanto è stato dimostrato da HARROP e BENEDICT, il reingresso del K nelle cellule, a causa dell'esal­tata glicogenosintesi provocata dall'ormone in parola.
Il glucosio e l'insulina, inoltre, apportano il materiale energetico indispensabile al funzionamento della pompa a Na, tanto utile per la reintegrazione del K.
La somministrazione dell'ormone di BANTING e BEST permette al­tresì di sfruttare la utilizzazione della glicogenosintesi a spese della pro­teolisi, qualora la richiesta di glucosio da parte dell'organismo fosse su­periore alle quantità somministrate. Si creano, in tal modo quelle con-dizioni per cui i depositi di energia divengono, a loro volta, i dispen­satori di essa, per quegli organi, che, più provati in questi particolari mo­menti, maggiormente ne richiedono.
Il meccanismo di azione dell'insulina, infatti, ad onta di parecchie incertezze, pare oggi chiarito; essa accresce le riserve di glicogeno favo­rendone la sintesi nei muscoli e nel fegato. Ed inoltre, un secondo punto di attacco dell'insulina sta nei processi di combustione dello zucchero, nel senso di una netta azione eccitante la combustione. Resta pertanto concordemente accertato, salvo talune divergenze di dettaglio, che l'in­sulina favorisce, da una parte, la deposizione di glicogeno, dall'altra, la combustione dello zucchero.
Questa duplice azione, apparentemente contradittoria, deve essere ritenuta fondamentale. A tal riguardo sarà bene ricordare che il rein­gresso del K all'interno della cellula avviene contemporaneamente 'alla fuoruscita dall'jone Na. E' noto infatti come, in fase peroperatoria e nell'immediato periodo postoperatorio, si manifesti una transitoria ridu­zione della eliminazione di tutti gli elettroliti ed in specie di Na. Detta ritenzione ha una qual certa proporzionalità con la gravità dell'inter­vento, ma è sempre presente. Come è intuitivo essa è da imputare a diversi fattori, quali la insufficienza da diminuzione del flusso ematico durante l'intervento; oppure alla iperfunzione conico - surrenale del periodo di reazione allo stress chirurgico.
Fatto si è, che, allo stato di deidratazione, che si determina a causa dell'intervento, si associa un aumento del tenore di Na intracellulare.
Sono stati dimostrati dalle ricerche e dalle esperienze di LABORIT e HUGUENARD, i dati negativi di una ipernatremia. Infatti questi AA. di-cono che l'ipertermia, l'oliguria, la broncorrea, il catabolismo azotato disordinato sono le conseguenze più o meno dirette dell'ipernatremia. Così come hanno la medesima origine i sovraccarichi del ventricolo destro.
Ne consegue pertanto che non è prudente la somministrazione in-condizionata di soluzioni saline a base di Na durante il periodo postope­ratorio immediato, in quanto è noto che l'jone Na, favorendo il poten­ziale di azione cellulare, accompagna i fenomeni di depolarizzazione. In fase operatoria e postoperatoria immediata, in conseguenza dello stress chirurgico, l'organismo avrà un eccesso di joni K circolanti, sfuggiti dalle cellule affaticate. Poichè, compito della rianimazione deve essere quello di ricostituire il potenziale di azione cellulare, quindi di facili-tare la ripolarizzazione della cellula, con il reingresso del K e la conse­guente fuoruscita dell'jone Na, sarà controindicata la somministrazione di nuovi joni Na, l'apporto dei quali si oppone naturalmente alla rica­rica in tono della cellula.
In ultima analisi, quindi, in rianimazione peroperatoria e postope­ratoria, il Na non fa altro che accrescere la depolarizzazione cellulare, proprio nel periodo in cui le cellule (miocardio in primo luogo) debbono ripolarizzarsi.
Si avrà, se mai, interesse a tenere lievemente al di sotto della norma la concentrazione extracellulare del Na, onde facilitare il recupero cellulare.
L'apporto di soluzioni saline dovrà pertanto essere contenuto alle eventuali perdite abnormi di elettrolita Na, come avviene per il vomito, per le perdite di liquidi organici patologici, ecc., badando bene a rea­lizzare un bilancio sodato piuttosto equilibrato o in difetto, mai positivo.
Il fattore essenziale della rianimazione, occorre tenerlo sempre pre-sente, è l'approvvigionamento immediato e spesso massivo di materiale facilmente ossidabile in primo luogo : il glucosio ed il levulosio.
Qualche concetto dobbiamo dire a proposito degli eventuali danni arrecati dalle soluzioni citratate disciolte nei comuni flaconi di trasfu­sione sanguigna.
Stando alle esperienze di LABORIT e HUGUENARD, il citrato trisodico aumenterebbe in maniera notevole la depolarizzazione della membrana cellulare e pertanto, le trasfusioni massive di sangue conservato, nei vasi all'uopo preparati, non sarebbero del tutto scevre da pericoli. Inten­diamo riferirci a quelle immissioni nel torrente circolatorio di quantità di sangue assolutamente inutili e non richieste, perchè sproporzionate alle perdite operatorie. Taluni rianimatori, da quando si è diffusa la pratica trasfusionale, usano trasfondere incondizionatamente e talvolta senza alcuna necessità, quantità di sangue notevoli e certamente spro­porzionate ai volumi perduti a causa dell'intervento. E ciò per un er­rato convincimento che basti una « buona » trasfusione per avere ra­gione dello shock operatorio. Questo concetto però, a lume delle più moderne acquisizioni, è talvolta errato; giacchè non esiste uno shock operatorio, ma tante cause di shock operatorio, e, se la trasfusione varrà a dominare uno shock emorragico, a nulla essa servirebbe ove si richie­desse al sangue trasfuso di correggere una atonia vasomotoria per esau­rimento della contrattilità. In questo casa l'immissione in circolo di abbondante sangue, specie se conservato e pertanto ricco in sodio, avreb­be solo lo scopo di determinare una replezione venosa, con conseguenze forse disastrose: l'insufficienza ventricolare destra, l'edema acuto, l'in­sufficienza ventricolare sinistra, l'asistolia brutale, legati tutti al sovrac­carico del circolo venoso e ad una depolarizzazione delle fibre musco-lari del sistema cardiovascolare.
La nostra esperienza, invero, non ci consente di schierarci decisa-mente contro le trasfusioni di sangue conservato, solamente per tema dell'apporto del citrato di sodio, giacchè, anche in occasione di trasfusioni abbondanti, mai abbiamo dovuto lamentare qualche inconveniente. Pur tuttavia siamo di avviso che la massa sanguigna, nel corso di un inter-vento, debba essere ricostituita« volume a volume » e che soltanto condizioni di praticità non ci fanno impiegare esclusivamente il san­gue fresco, pur riconoscendo che in particolari evenienze, l'apporto in-condizionato di sangue conservato, troppo ricco di sodio, possa aumen­tare il lavoro della pompa a Na, che si troverà ad affrontare un iperlavoro contro un gradiente ionico troppo elevato.
La rianimazione generale, pertanto, assume una importanza vera-mente singolare. L'obiettivo immediato di essa deve mirare alla ripo­larizzazione della fibra miocardica e di quella del sistema cardiovasco­lare, facilitando la penetrazione del potassio all'interno della cellula. Quindi, da una parte, è necessario l'apporto idrico per diluire il gradiente di Na extracellulare e richiamare detto elettrolita in circolo, dal-l'altra, occorre agevolare l'ingresso nelle cellule dell'jone K circolante, combinandolo con i suoi naturali coabitanti all'interno di esse, il glu­cosio ed il glicogeno. Infusioni di soluzioni ipertoniche di glucosio, di levulosio, quindi, materiali altamente energetici e neppure soluzioni saline di KCL, cui alcuni anni fa si dette una enorme importanza. An-che il KCL può risolversi in un danno per le ragioni dianzi esposte : lo organismo da rianimare non ha bisogno di joni K in senso assoluto, giacché questo elettrolita è presente; esso si trova disciolto nei liquidi extracellulari, dove è stato sospinto nella fase di depolarizzazione. Al­tro apporto di K dall'esterno, potrebbe anche sortire l'effetto indeside­rabile di una ulteriore depolarizzazione, con fibrillazione ventricolare (vedi figura).
Lo studio accurato dei problemi fisiopatologici esposti, ci ha indot­to pertanto a servirci, nella pratica quotidiana della rianimazione dei nostri operati, di due agenti terapeutici : le soluzoini ipertoniche di glucosio o di levulosio e l'insulina. I nostri obiettivi principali, impe­dire la eccessiva depolarizzazione e facilitare la pronta ripolarizzazione sia a livello dei vasi, sia a livello del miocardio, ci sembrano raggiunti mediante l'ausilio di detti presidi terapeutici.
Da quanto sopra esposto ci sentiamo di trarre le seguenti deduzioni conclusive dal punto di vista della corrente pratica rianimatoria :

  • è necessario apportare massivamente in circolo quantità va­riabili di glucosio in soluzione ipertonica dal 10 al 30% a seconda dei casi (da 100 a 250 g) accompagnate da insulina da 10 a 30 U.I. nelle 24 ore;
  • evitare la somministrazione di Na, a meno che non si deter-minino richieste abnormi di esso per perdite extranaturali considerevoli (vomito, fistole, abbondante diaforesi, ecc.);
  • limitare allo stretto necessario, e dopo oculato apprezzamen­to delle quantità perdute, le Trasfusioni di sangue, specie se conserva-to e quindi citratato;
  • preferire, infine, per l'apporto idrico le soluzioni macromo­lecolari prive di Na.

RIASSUNTO

Partendo dallo studio delle variazioni del tenore ionico a livello della membrana cellulare, sono stati passati in rassegna gli agenti capa­ci di determinare il fenomeno della polarizzazione e della depolarizza­zione della membrana cellulare stessa.
E' stato valutato il ruolo dell'jone K in rapporto sia allo stress anestesiologico e chirurgico sia in relazione alla somministrazione di particolari farmaci.
Sono stati affrontati i problemi della rianimazione pre, intra e post-operatoria con riguardo all'equilibrio ionico ai due lati della mem­brana cellulare e particolarmente ai fenomeni di polarizzazione di essa.
A lume delle più moderne acquisizioni, e secondo un criterio che gli stessi AA. ritengono potere accettare, è il rapporto tra gli joni K e Na intra ed extra-cellulare che determina i fenomeni della polarizza­zione e depolarizzazione della membrana cellulare.
In fase di rianimazione, ciò che conta è il ristabilimento del pa­trimonio ionico all'interno della cellula cui si è accennato prima; dunque, il ripristino del valore del potenziale di membrana.
Intendimento primo della rianimazione è quello di stabilire la nor-male omeostasi della vita cellulare, nel senso che, considerata per un qualsiasi stress o quid la cellula fiaccata od esaurita, la rianimazione determina la sua rimessa in tono e quindi la ripolarizzazione della cel­lula depolarizzata. Bisognerà ricostituire soprattutto quegli organi e quei sistemi che rappresentano i centri della attività dinamica (miocardio, si­stema vascolare, muscoli).
Considerata la necessità di fornire all' organismo provato dallo stress sostanze facilmente utilizzabili per il metabolismo cellulare e di apportare prontamente materiale altamente energetico, , viene consi­gliato l'impiego di quantità elevate di glucosio o di altri esosi, riducen­do contemporaneamente l'apporto dell'jone Na nei liquidi di perfusio­ne onde diminuire la concentrazione extra-cellulare di esso.
Con lo scopo di sfruttare più ampiamente l'azione del glucosio ed altresì nell'intento di favorire il reingresso del potassio nelle cellule a causa dell'esaltata glicogenosintesi da essa provocata, vengono sommi­nistrate quantità proporzionali di insulina.

BIBLIOGRAFIA

Considerato il numero veramente cospicuo dei lavori pubblicati su di un argomento che abbraccia parecchi settori della fisiologia, della chimica biologica, della patologia e della clinica ci limitiamo alla citazione degli AA. menzionati nel testo.

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Il lavoro spetta in parti uguali agli AA.


 
 
 
     
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